Si può prevedere il futuro?
Pubblicato da Pietro De Michelis
studieriflessioni
La conseguenza paradossale è che gli autori, dopo aver confermato come proprio un simile errore di teoria della conoscenza, giungano alla seguente falsa conclusione: "Dalla nostra discussione emerge che anche un insieme ben consolidato di conoscenze scientifiche inevitabilmente non si traduce in previsioni prive di incertezza, nella migliore delle ipotesi per i limiti di natura intrinseca ai fenomeni di interesse. Questi limiti non sono sempre compresi o correttamente trasmessi a chi deve tramutare le previsioni in decisioni o protocolli di sicurezza per le popolazioni".
C'è forse bisogno di insistere su questo paradosso che conferma la più colossale delle incomprensioni? La più precisa e perfetta delle conoscenze dei processi naturali è la conoscenza della necessità dei complessi di eventi, mentre i singoli eventi sono inconoscibili e imprevedibili perché soggetti al caso. Se questa verità certa viene taciuta ai pratici, che dovrebbero stabilire protocolli di sicurezza applicabili a collettività di cittadini (per non creare panico e non disturbare inutilmente le loro abitudini), come si può pretendere che non sorgano incomprensioni?
Il fatto è che si preferisce la solita bagarre, il solito rinfaccio reciproco piuttosto che affermare una verità che toglie fondamento a un principio tanto caro non solo alla scienza più tradizionale ma anche ai poteri d'ogni tempo, etici, religiosi e politici: il determinismo. Quel determinismo che se l'attività pratica dell'uomo, la produzione tecnologica, conferma pienamente, quando viene applicato ai processi naturali delude ogni aspettativa umana!*
* A questo proposito, vedere i post sulla critica alla riproposizione del determinismo da parte di Paola Dessì.
Pubblicato da Pietro De Michelis
studieriflessioni
Questo è il titolo di uno studio pubblicato su "Le Scienze" di giugno 2013. Già in copertina troviamo i seguenti titoli: "Dossier- La scienza delle previsioni- Dall'economia ai terremoti, dagli uragani alle epidemie, prospettive e limiti delle nostre capacità di prevedere scenari futuri". [Errata corrige: il dossier è intitolato "La scienza delle previsioni", mentre è il primo studio del dossier a essere intitolato "Si può prevedere il futuro?". Nella fretta e nella selva dei titoli e sottotitoli l'autore di questo blog si è un pò perso. Ed è un vero peccato perché così si è perso anche quello che poteva essere un efficace controtitolo ad effetto per questo post e cioè L'impossibile scienza delle previsioni].
A dire il vero, la difficoltà reale consiste nella previsione deterministica di eventi singoli in momenti precisi e determinabili, non tanto la previsione statistica di eventi complessivi in momenti imprecisabili. Chi segue questo blog sa che l'autore attribuisce i singoli eventi alla sfera del caso e gli eventi complessivi (collettivi) alla sfera della necessità: i primi soggetti allaincerta probabilità, i secondi soggetti alla certa frequenza statistica.
Ora, ciò che possiamo trovare in questo dossier di "Le Scienze" è una prima ammissione della differenza tra le previsioni impossibili dei fenomeni singoli e le previsioni possibili dei fenomeni collettivi. Da questa ammissione, naturalmente, non si può certo inferire che gli autori del dossier abbiano concepito o siano sul punto di concepire la dialettica caso-necessità. Ma, come vedremo, i cosiddetti pratici, ossia gli scienziati che si occupano di quei campi ai quali sono richieste risposte scientifiche pratiche, risolutive dei problemi umani, hanno maggiori possibilità di comprendere le leggi della dialettica caso-necessità, rispetto ai teorici puri della matematica o della fisica teorica.
Per mostrare in che modo questo possa avvenire, ma anche quali ostacoli teorici del passato e del presente continuino a rendere difficile la totaleconsapevolezza della dialettica caso-necessità, posteremo alcuni contributi critici su questo dossier, cominciando dalla previsione delle malattie. Sub "Prevedere le malattie" di Paolo Vineis, possiamo subito osservare che il sottotitolo imposta la questione in modo abbastanza corretto:"Prevedere in modo affidabile l'insorgere di alcune malattie è possibile ma a livello di popolazione, a livello individuale questo non è sempre possibile".
L'osservazione di cui sopra è una tipica induzione empirica che, per chi scrive, rappresenta una conferma del caso relativo ai singoli individui e della conseguente necessità complessiva. Anche all'inizio dell'articolo Vineis ribadisce: "Il problema di fondo dell'epidemiologia, cioè dello studio sistematico delle distribuzioni della malattie e delle loro cause, è che le previsioni sono valide (quando lo sono) soprattutto a livello collettivo, ma difficilmente a livello individuale. Le malattie non rispondono a leggi semplici e deterministiche, ma hanno un ruolo decisivo la suscettibilità individuale e altri fattori aleatori. A livello delle popolazioni, però, la previsione è ragionevolmente affidabile, almeno per fenomeni stabili come le malattie "non comunicabili", tra cui il cancro, su cui si basano molti degli esempi che seguono".
Occorre chiarire subito che la malattia, in se stessa, riguarda strettamente l'individuo e ovviamente la sua "suscettibilità" alla medesima, ma la scienza non è in grado di definire in altro modo la malattia individuale che appellandosi a "fattori aleatori", ovvero imprevedibili. La conclusione da trarre è, quindi, che l'imprevedibilità deriva dal caso. E qui troviamo una prima reticenza sul riconoscimento del ruolo del caso individuale e sul suo rapporto con la necessità collettiva. E' l'ossimoro "fattori aleatori" che conferma la reticenza degli scienziati posti di fronte a evidenze empiriche aleatorie, ossia casuali. Infatti, se fosse un fattore dovrebbe essere sotto la giurisdizione del rapporto deterministico di causa-effetto, se invece è qualcosa di aleatorio, allora appartiene alla sfera del caso, connessa alla necessità solo come opposto dialettico.
Chiunque abbia acquistato "Le scienze" di questo giugno può partire dal contributo di Paolo Vineis, per comprendere le ragioni oggettive della imprevedibilità di eventi singoli, individuali: imprevedibilità che non dipende dalla inettitudine degli scienziati empirici, ma dalle oggettive manifestazioni naturali. In questo modo potrà anche seguire la critica dell'autore di questo blog, mediante la quale sarà resa ancora più chiara la sua "dialettica caso-necessità" che sta alla base dei processi naturali.
Riprendiamo il discorso partendo dall'articolo introduttivo scritto da Fabio Cecconi, Massimo Cencini e Francesco Sylos Labini. Il punto di partenza del dossier, sulla previsione del futuro, è rappresentato dalle seguenti domande: "In che modo sono declinati i metodi e i concetti usati per capire come si svilupperà un certo fenomeno in diversi contesti scientifici, quali meteorologia, fisica, geologia ed epidemologia? In che modo le conoscenze scientifiche si traducono in previsioni utili alle politiche di intervento? Quali sono i limiti di queste previsioni?" E' proprio per rispondere a queste domande che è stato organizzato un convegno, dal quale sono stati tratti i vari contributi per il dossier pubblicato su "Le Scienze".
Fin dall'inizio ciò che non appare chiara è la consapevolezza che le previsioni per essere "utili alle politiche di intervento" devono riguardare singoli eventi, che sono, invece, sotto la giurisdizione del caso. Al posto di questa premessa certa, che non viene mai affermata una volta per tutte, compare ogni tanto la considerazione dell'aleatorietà o stocasticità che rende imprevedibile il futuro, ma compare soprattutto il continuo appello alla incertezza, alla caoticità, ecc. della previsione.
Fin dall'inizio ciò che non appare chiara è la consapevolezza che le previsioni per essere "utili alle politiche di intervento" devono riguardare singoli eventi, che sono, invece, sotto la giurisdizione del caso. Al posto di questa premessa certa, che non viene mai affermata una volta per tutte, compare ogni tanto la considerazione dell'aleatorietà o stocasticità che rende imprevedibile il futuro, ma compare soprattutto il continuo appello alla incertezza, alla caoticità, ecc. della previsione.
E quando, finalmente, si affronta la questione vera, quella del determinismo che si scontra con la probabilità, ci si appella a situazioni di impossibilità che sarebbero specifiche dei fenomeni considerati. Ad esempio, riguardo ai terremoti, essi dipenderebbero "da condizioni di stress che si verificano fino a chilometri sotto la crosta terrestre, inaccessibili a misurazioni sistemiche". Ma, sui terremoti la conoscenza e anche il monitoraggio sono vasti. Ciò che, invece, risulta impossibile è rendere ragione di quella manciata di secondi o minuti di stress che mettono sottosopra una regione abitata, prendendola di sorpresa creando morti, feriti e panico.
Ed è per queste situazioni che, invece di chiarire il rapporto esistente tra il singolo casuale e il complesso necessario, si continua a pretendere di rispondere a domande come la seguente: "Una domanda più complessa riguarda la capacità di prevedere fenomeni regolati non da leggi deterministiche, ma piuttosto da leggi probabilistiche. In questo caso un ruolo importante è svolto dalle tecniche di previsioni statistica, correntemente usate per prevedere, per esempio, il diffondersi di malattie epidemiche, la formazione di opinioni nella società o il suo sviluppo economico".
Ma la statistica, ribadiamo, è una forma di conoscenza applicata ai complessi, alle collettività; tutto l'opposto, ad esempio, della previsione della singola scossa tellurica, che non è soggetta alla statistica complessiva ma alla probabilità singola. E quanto si sia ancora lontani dall'avere compreso la differenza tra probabilità, frequenza statistica e determinazione di causa-effetto lo conferma la seguente osservazione degli autori di questa introduzione (che ribadisce anche il solito errore): "L'analisi di serie storiche e l'inferenza statistica basata sul calcolo delle probabilità sono i due strumenti principali di questo tipo di tecniche predittive, che però da sole non bastano. Gli studi statistici sono molto efficaci nello stabilire correlazioni tra eventi ma, nella maggior parte dei casi non permettono la determinazione di relazioni causali, conoscenza indispensabile per la politica di intervento".
Relazioni causali?! C'è da mettersi le mani nei capelli! In questo genere di spiegazioni non si rende ragione della reale difficoltà della previsione. Innanzi tutto, perché non si chiarisce subito che la previsione riguarda eventi singoli che appartengono alla sfera del caso e dunque al calcolo delle probabilità, il quale stabilisce soltanto possibilità e nessuna certezza? E ancora, perché ci si dimentica di assicurare che il calcolo statistico parte sì dalle probabilità ma giunge sempre a dati di frequenze che riguardano complessi, collettività di eventi? Infine, perché si compie l'errore madornale di cercare relazione tra inesistenti cause e il quadro statistico rilevato? Dove c'è una statistica non ci può essere una causa: tra il rapporto probabilità-statistica e il rapporto causa-effetto c'è una differenza abissale!
Ed è per queste situazioni che, invece di chiarire il rapporto esistente tra il singolo casuale e il complesso necessario, si continua a pretendere di rispondere a domande come la seguente: "Una domanda più complessa riguarda la capacità di prevedere fenomeni regolati non da leggi deterministiche, ma piuttosto da leggi probabilistiche. In questo caso un ruolo importante è svolto dalle tecniche di previsioni statistica, correntemente usate per prevedere, per esempio, il diffondersi di malattie epidemiche, la formazione di opinioni nella società o il suo sviluppo economico".
Ma la statistica, ribadiamo, è una forma di conoscenza applicata ai complessi, alle collettività; tutto l'opposto, ad esempio, della previsione della singola scossa tellurica, che non è soggetta alla statistica complessiva ma alla probabilità singola. E quanto si sia ancora lontani dall'avere compreso la differenza tra probabilità, frequenza statistica e determinazione di causa-effetto lo conferma la seguente osservazione degli autori di questa introduzione (che ribadisce anche il solito errore): "L'analisi di serie storiche e l'inferenza statistica basata sul calcolo delle probabilità sono i due strumenti principali di questo tipo di tecniche predittive, che però da sole non bastano. Gli studi statistici sono molto efficaci nello stabilire correlazioni tra eventi ma, nella maggior parte dei casi non permettono la determinazione di relazioni causali, conoscenza indispensabile per la politica di intervento".
Relazioni causali?! C'è da mettersi le mani nei capelli! In questo genere di spiegazioni non si rende ragione della reale difficoltà della previsione. Innanzi tutto, perché non si chiarisce subito che la previsione riguarda eventi singoli che appartengono alla sfera del caso e dunque al calcolo delle probabilità, il quale stabilisce soltanto possibilità e nessuna certezza? E ancora, perché ci si dimentica di assicurare che il calcolo statistico parte sì dalle probabilità ma giunge sempre a dati di frequenze che riguardano complessi, collettività di eventi? Infine, perché si compie l'errore madornale di cercare relazione tra inesistenti cause e il quadro statistico rilevato? Dove c'è una statistica non ci può essere una causa: tra il rapporto probabilità-statistica e il rapporto causa-effetto c'è una differenza abissale!
La conseguenza paradossale è che gli autori, dopo aver confermato come proprio un simile errore di teoria della conoscenza, giungano alla seguente falsa conclusione: "Dalla nostra discussione emerge che anche un insieme ben consolidato di conoscenze scientifiche inevitabilmente non si traduce in previsioni prive di incertezza, nella migliore delle ipotesi per i limiti di natura intrinseca ai fenomeni di interesse. Questi limiti non sono sempre compresi o correttamente trasmessi a chi deve tramutare le previsioni in decisioni o protocolli di sicurezza per le popolazioni".
C'è forse bisogno di insistere su questo paradosso che conferma la più colossale delle incomprensioni? La più precisa e perfetta delle conoscenze dei processi naturali è la conoscenza della necessità dei complessi di eventi, mentre i singoli eventi sono inconoscibili e imprevedibili perché soggetti al caso. Se questa verità certa viene taciuta ai pratici, che dovrebbero stabilire protocolli di sicurezza applicabili a collettività di cittadini (per non creare panico e non disturbare inutilmente le loro abitudini), come si può pretendere che non sorgano incomprensioni?
Il fatto è che si preferisce la solita bagarre, il solito rinfaccio reciproco piuttosto che affermare una verità che toglie fondamento a un principio tanto caro non solo alla scienza più tradizionale ma anche ai poteri d'ogni tempo, etici, religiosi e politici: il determinismo. Quel determinismo che se l'attività pratica dell'uomo, la produzione tecnologica, conferma pienamente, quando viene applicato ai processi naturali delude ogni aspettativa umana!*
* A questo proposito, vedere i post sulla critica alla riproposizione del determinismo da parte di Paola Dessì.