La critica a Comte ed John Stuart Mill
di Renzo Grassano
Una tendenza non è una legge - scrive Popper.
"Una proposizione che affermi l'esistenza di una tendenza è esistenziale, e non universale".
Come già dimostrato, "una legge universale, non afferma l'esistenza di qualcosa... ma afferma l'impossibilità di qualcosa..."
L'importanza logica di tale distinzione ha conseguenze decisive.
Secondo Popper, infatti, potremmo fondare previsioni sociali di valore scientifico su leggi, ma non su tendenze.
«La distinzione famosa fin dai tempi di Comte e di Mill fra le leggi di coesistenza, che corrisponderebbero alla statica, e le leggi di successione corrispondenti alla dinamica, può - ne conveniamo - essere interpretata in un modo ragionevole; cioè, può considerarsi una distinzione fra leggi nella cui formulazione è partecipe il tempo (per esempio leggi che parlano della velocità), e leggi che non hanno nessun riferimento al concetto del tempo. Ma non è precisamente questo che avevano in mente Comte e i suoi seguaci. Dicendo leggi di successione, Comte pensava alle leggi che determinano la successione di una serie dinamica di fenomeni, nell'ordine in cui li osserviamo. Ora è importante rendersi conto che le leggi "dinamiche" di successione, come le pensava Comte, assolutamente non esistono... [...] Ciò che più si avvicina ad esse, e a cui probabilmente pensava, sono fenomeni periodici, come le stagioni, le fasi della luna, le eclissi o magari le oscillazioni del pendolo. Ma queste periodicità, che nella fisica potrebbero essere descritte come dinamiche (benché stazionarie), sarebbero, nel senso comtiano del termine, "statiche" piuttosto che "dinamiche"; in ogni caso ben difficilmente potrebbero essere definite "leggi" (in quanto dipendono dalle speciali condizioni che prevalgono nel sistema solare...) Io le chiamerò "quasi-leggi di successione".» (1)
Dice il filosofo austriaco: «... possiamo sì ipotizzare che ogni successione reale di fenomeni procede secondo leggi di natura, ma è importante che ci rendiamo conto che nessuna sequenza, diciamo, di tre o quattro fenomeni connessi casualmente procede secondo una sola legge di natura. Quando il vento scuote un albero e fa cadere per terra la mela di Newton, nessuno nega che questi eventi possono descriversi nei termini delle leggi causali. Ma non esiste una sola legge, come quella della gravità, né un solo gruppo ben definito di leggi, che possa descrivere la successione concreta degli eventi come una successione di eventi connessi causalmente: oltre alla gravità, dovremmo considerare le leggi che spiegano la pressione del vento, gli scatti del ramo; la tensione nel gambo della mela; i lividi prodotti nella mela dall'urto, i successivi processi chimici, ecc. L'idea che una qualsiasi serie o successione concreta di eventi ( a parte i movimenti del pendolo, o del sistema solare, o esempi simili,) possa essere descritta o spiegata da una sola legge, o da un gruppo ben definito di leggi, è semplicemente sbagliata. Non vi sono né leggi di successione, né leggi di evoluzione.
Eppure, secondo il concetto di Comte e di Mill, le loro leggi di successione determinerebbero una serie di eventi storici, nell'ordine in cui si fossero effettivamente presentati; lo possiamo dedurre dal modo in cui Mill parla di un metodo che "consiste nel tentare di scoprire, per mezzo dello studio e dell'analisi dei fatti generali della storia... la legge del progresso; la quale legge, una volta che fosse, dovrebbe... darci la la possibilità di predire gli eventi futuri, allo stesso modo che, in algebra, dopo appena pochi termini di una serie infinita, possiamo scorgere il principio di regolarità della loro formazione, e predire il resto della serie fino a qualunque numero di termini. Verso questo metodo mantiene un atteggiamento critico: ma la sua critica (vedi il principio del paragrafo 28) ammette ampiamente la possibilità di trovare leggi di successione analoghe a quelle delle serie matematiche, sebbene esprima il dubbio che "l'ordine di successione..., che la storia ci presenta" non sia così "rigidamente uniforme" da essere comparato con una serie matematica.» (1)
Dopo aver riconosciuto, comunque, a Comte ed a Mill qualche merito in campo epistemologico, in particolare per la critica all'essenzialismo(2), Popper chiude convinto di dare una lezione quasi definitiva, spiegando che rimane fondamentale il metodo.
Quando si raccolgono dati (prove, fatti, serie di fatti, in questo caso eventi storici, ndr) per arrivare a qualche conclusione circa il loro significato, non basta cominciare con delle osservazioni, come pensano alcuni studiosi. «... è necessario che sorga un nostro interesse rispetto ai dati di una certa storia: prima di tutto si presenta sempre il problema. Il problema a sua volta può essere suggerito da necessità pratiche, o da credenze scientifiche o prescientifiche che per una ragione qualsiasi sembrino aver bisogno di una revisione.» (1)
In una lunga e rigorosa disamina del pensiero di Mill circa la spiegazione, intendendo la spiegazione causale, Popper perviene ad una prima conclusione: tra il suo pensiero e quello di Mill "non c'è molta differenza per quel che riguarda la riduzione di leggi ad altre leggi più generali, cioè per la spiegazione causale di regolarità".
Però, Mill fa un "uso non chiaro" del termine causa. Se ne serve sia per denotare leggi universali, sia per evidenziare eventi singolari.
Questo crea confusione e porta Mill ad un errore grossolano: ad ignorare, cioè, che il persistere di tendenze è strettamente connesso alle condizioni iniziali che hanno reso possibile la tendenza stessa. «Mill e i suoi compagni storicisti non hanno notato la dipendenza delle tendenze dalle condizioni iniziali. Adoperano leggi come se fossero leggi assolute. La confusione che fanno tra leggi e tendenze fa sì che essi credano in tendenze non condizionali ( e quindi generali); oppure potremmo dire, in tendenze assolute; per esempio, in una tendenza storica generale verso il progresso - "una tendenza verso uno stato migliore e più felice"...
[...] Ecco, possiamo dire, l'errore centrale dello storicismo. Le sue "leggi dello sviluppo" si rivelano essere tendenze assolute, tendenze come leggi, che non dipendono dalle condizioni iniziali, e che irresistibilmente ci trascinano in una certa direzione nel futuro.» (1)
Proseguendo, Popper dedica ampio spazio alla comparazione tra i metodi delle scienze fisiche e quelli delle scienze sociali, finendo col parlare della propria concezione epistemologica. In particolare, insiste sull'importanza delle prove sperimentali. Ma c'è un passaggio saliente che merita la citazione in quanto evidenzia il rigore impiegato nella ricostruzione logica della nascita di una teoria: «Importa... rendersi conto che nella scienza dobbiamo sempre occuparci di spiegazioni, previsioni, esperimenti, e che il metodo di cui ci serviamo per provare le ipotesi è nella sua parte principale invariabile [...] : dalle ipotesi sotto esame - per esempio una legge universale - unitamente ad alcune altre proposizioni all'uopo accettate senza discussione - per esempio delle condizioni iniziali - deduciamo una prognosi. Questa prognosi poi la confrontiamo, tutte le volte che sia possibile, con il risultato di osservazioni sperimentali o di altra natura. Se la prognosi e le osservazioni concordano, l'ipotesi si considera convalidata, seppure non confermata del tutto; se sono palesemente discordi, l'ipotesi si considera confutata, e la sua falsità provata.
Secondo questa analisi non vi è molta differenza tra la spiegazione, la previsione e la sperimentazione. Si tratta di una differenza non di struttura logica, ma di enfasi; dipende da che cosa consideriamo problematico. Se consideriamo non problematica la prognosi e invece problematiche le condizioni iniziali o alcune delle leggi universali ( o tutte e due) da cui poter dedurre una data "prognosi" allora diciamo che si tratta di una spiegazione ( e la prognosi diventa allora l'explicandum). Se consideriamo non problematiche le leggi e le condizioni iniziali e ce ne serviamo soltanto per dedurre la prognosi al fine di ottenere delle nuove conoscenze, diciamo che si tratta di una previsione. (E questo il caso in cui applichiamo i nostri risultati scientifici.) E se consideriamo problematica una delle premesse, cioè, o una legge universale o una condizione iniziale, e se la prognosi può essere determinata dall'esperienza, allora diciamo di aver sottoposto la premessa problematica a prove sperimentali. » (1)
E qui veniamo al cuore della concezione popperiana, molto simile a quella che abbiamo già visto nei files su von Hajek.
Dopo aver affermato che il come è stata trovata una teoria è un fatto di natura del tutto privata (mah?!), Popper afferma che è, piuttosto, importante la domanda "come hai provato la tua teoria?". E' la sola domanda che importa dal punto di vista scientifico. (altro mah?!)
E spiega: «Ora, io sono persuaso che tutto ciò vale non solo per le scienze naturali, ma anche per quelle sociali. E nelle scienze sociali è ancora più evidente che in quelle naturali che non possiamo vedere ed osservare i nostri oggetti prima di aver pensato ad essi. Infatti la maggior parte degli oggetti della scienza sociale, se non tutti, sono astratti; sono costruzioni teoretiche. (Ad alcuni sembrerà strano, ma perfino "la guerra" o "l'esercito" sono concetti astratti. Uomini uccisi, uomini in divisa, ecc. - ecco ciò che è concreto.)
Questi oggetti, queste costruzioni teoretiche di cui ci serviamo per interpretare le nostre esperienze, risultano dalla costruzione di certi modelli (specialmente di istituzioni), per spiegare certe esperienze - un metodo teorico ben noto nelle scienze naturali (nelle quali costruiamo modelli di atomi, molecole, solidi, liquidi, ecc.), e che fa anche parte del metodo di spiegazione per mezzo della riduzione o della deduzione di ipotesi. E' vero che spessissimo non ci rendiamo conto che stiamo adoperando delle teorie, e che ci illudiamo che i nostri modelli teorici siano delle "cose", ma questo è un genere di errore comunissimo. Questo uso di modelli spiega, ed allo stesso tempo distrugge, le tesi dell'essenzialismo metodologico. Le spiega, perché il modello è di carattere astratto o teoretico, e noi facilmente crediamo di vederlo in mezzo al mutare degli eventi osservabili o dietro ad essi, come una specie di spettro permanente o di essenze. E le distrugge perché il compito di una teoria sociale è di costruire ed analizzare i nostri modelli sociologici attentamente in termini descrittivi nominalisti, cioè in termini di individui, dei loro atteggiamenti, delle loro speranze, dei loro rapporti, ecc. - postulato che possiamo chiamare "individualismo metodologico. (che abbiamo già visto in von Hajek, ndr) » (1)
Non a caso, Popper cita von Hajek riprendendo paragrafi piuttosto lunghi, per arrivare comunque ad affermare un'unità di metodo tra scienze naturali e scienze sociali, pur ammettendo alcune differenze.
Nel prossimo capitolo vedremo meglio questi aspetti della teoria popperiana concernenti il metodo.
note:
(1) Karl Raimund Popper - Miseria dello storicismo - Feltrinelli 1975
(2) essenzialismo è dottrina di derivazione aristotelica e consiste nell'approcciare ogni fenomeno ed ogni esistente con la domanda "che cos'è?", provocando così una risposta di tipo descrittivo con la pretesa di arrivare ad una definizione che esprima l'essenza di qualcosa. Ad esempio, per Aristotele l'uomo è animale bipede, razionale, politico (nel senso di socievole e cooperativo, ma anche di schiavista... ehm) Popper si proclama "nominalista", cioè fiero oppositore dell'essenzialismo. Per un nominalista i fenomeni si possono solo descrivere, ma non si può dire che cosa sia, ad esempio, un uomo, o cosa sia la "luce". Il nominalismo è di fatto una conseguenza della nascita della scienza moderna, a partire da Galileo e da Newton.
di Renzo Grassano
Una tendenza non è una legge - scrive Popper.
"Una proposizione che affermi l'esistenza di una tendenza è esistenziale, e non universale".
Come già dimostrato, "una legge universale, non afferma l'esistenza di qualcosa... ma afferma l'impossibilità di qualcosa..."
L'importanza logica di tale distinzione ha conseguenze decisive.
Secondo Popper, infatti, potremmo fondare previsioni sociali di valore scientifico su leggi, ma non su tendenze.
«La distinzione famosa fin dai tempi di Comte e di Mill fra le leggi di coesistenza, che corrisponderebbero alla statica, e le leggi di successione corrispondenti alla dinamica, può - ne conveniamo - essere interpretata in un modo ragionevole; cioè, può considerarsi una distinzione fra leggi nella cui formulazione è partecipe il tempo (per esempio leggi che parlano della velocità), e leggi che non hanno nessun riferimento al concetto del tempo. Ma non è precisamente questo che avevano in mente Comte e i suoi seguaci. Dicendo leggi di successione, Comte pensava alle leggi che determinano la successione di una serie dinamica di fenomeni, nell'ordine in cui li osserviamo. Ora è importante rendersi conto che le leggi "dinamiche" di successione, come le pensava Comte, assolutamente non esistono... [...] Ciò che più si avvicina ad esse, e a cui probabilmente pensava, sono fenomeni periodici, come le stagioni, le fasi della luna, le eclissi o magari le oscillazioni del pendolo. Ma queste periodicità, che nella fisica potrebbero essere descritte come dinamiche (benché stazionarie), sarebbero, nel senso comtiano del termine, "statiche" piuttosto che "dinamiche"; in ogni caso ben difficilmente potrebbero essere definite "leggi" (in quanto dipendono dalle speciali condizioni che prevalgono nel sistema solare...) Io le chiamerò "quasi-leggi di successione".» (1)
Dice il filosofo austriaco: «... possiamo sì ipotizzare che ogni successione reale di fenomeni procede secondo leggi di natura, ma è importante che ci rendiamo conto che nessuna sequenza, diciamo, di tre o quattro fenomeni connessi casualmente procede secondo una sola legge di natura. Quando il vento scuote un albero e fa cadere per terra la mela di Newton, nessuno nega che questi eventi possono descriversi nei termini delle leggi causali. Ma non esiste una sola legge, come quella della gravità, né un solo gruppo ben definito di leggi, che possa descrivere la successione concreta degli eventi come una successione di eventi connessi causalmente: oltre alla gravità, dovremmo considerare le leggi che spiegano la pressione del vento, gli scatti del ramo; la tensione nel gambo della mela; i lividi prodotti nella mela dall'urto, i successivi processi chimici, ecc. L'idea che una qualsiasi serie o successione concreta di eventi ( a parte i movimenti del pendolo, o del sistema solare, o esempi simili,) possa essere descritta o spiegata da una sola legge, o da un gruppo ben definito di leggi, è semplicemente sbagliata. Non vi sono né leggi di successione, né leggi di evoluzione.
Eppure, secondo il concetto di Comte e di Mill, le loro leggi di successione determinerebbero una serie di eventi storici, nell'ordine in cui si fossero effettivamente presentati; lo possiamo dedurre dal modo in cui Mill parla di un metodo che "consiste nel tentare di scoprire, per mezzo dello studio e dell'analisi dei fatti generali della storia... la legge del progresso; la quale legge, una volta che fosse, dovrebbe... darci la la possibilità di predire gli eventi futuri, allo stesso modo che, in algebra, dopo appena pochi termini di una serie infinita, possiamo scorgere il principio di regolarità della loro formazione, e predire il resto della serie fino a qualunque numero di termini. Verso questo metodo mantiene un atteggiamento critico: ma la sua critica (vedi il principio del paragrafo 28) ammette ampiamente la possibilità di trovare leggi di successione analoghe a quelle delle serie matematiche, sebbene esprima il dubbio che "l'ordine di successione..., che la storia ci presenta" non sia così "rigidamente uniforme" da essere comparato con una serie matematica.» (1)
Dopo aver riconosciuto, comunque, a Comte ed a Mill qualche merito in campo epistemologico, in particolare per la critica all'essenzialismo(2), Popper chiude convinto di dare una lezione quasi definitiva, spiegando che rimane fondamentale il metodo.
Quando si raccolgono dati (prove, fatti, serie di fatti, in questo caso eventi storici, ndr) per arrivare a qualche conclusione circa il loro significato, non basta cominciare con delle osservazioni, come pensano alcuni studiosi. «... è necessario che sorga un nostro interesse rispetto ai dati di una certa storia: prima di tutto si presenta sempre il problema. Il problema a sua volta può essere suggerito da necessità pratiche, o da credenze scientifiche o prescientifiche che per una ragione qualsiasi sembrino aver bisogno di una revisione.» (1)
In una lunga e rigorosa disamina del pensiero di Mill circa la spiegazione, intendendo la spiegazione causale, Popper perviene ad una prima conclusione: tra il suo pensiero e quello di Mill "non c'è molta differenza per quel che riguarda la riduzione di leggi ad altre leggi più generali, cioè per la spiegazione causale di regolarità".
Però, Mill fa un "uso non chiaro" del termine causa. Se ne serve sia per denotare leggi universali, sia per evidenziare eventi singolari.
Questo crea confusione e porta Mill ad un errore grossolano: ad ignorare, cioè, che il persistere di tendenze è strettamente connesso alle condizioni iniziali che hanno reso possibile la tendenza stessa. «Mill e i suoi compagni storicisti non hanno notato la dipendenza delle tendenze dalle condizioni iniziali. Adoperano leggi come se fossero leggi assolute. La confusione che fanno tra leggi e tendenze fa sì che essi credano in tendenze non condizionali ( e quindi generali); oppure potremmo dire, in tendenze assolute; per esempio, in una tendenza storica generale verso il progresso - "una tendenza verso uno stato migliore e più felice"...
[...] Ecco, possiamo dire, l'errore centrale dello storicismo. Le sue "leggi dello sviluppo" si rivelano essere tendenze assolute, tendenze come leggi, che non dipendono dalle condizioni iniziali, e che irresistibilmente ci trascinano in una certa direzione nel futuro.» (1)
Proseguendo, Popper dedica ampio spazio alla comparazione tra i metodi delle scienze fisiche e quelli delle scienze sociali, finendo col parlare della propria concezione epistemologica. In particolare, insiste sull'importanza delle prove sperimentali. Ma c'è un passaggio saliente che merita la citazione in quanto evidenzia il rigore impiegato nella ricostruzione logica della nascita di una teoria: «Importa... rendersi conto che nella scienza dobbiamo sempre occuparci di spiegazioni, previsioni, esperimenti, e che il metodo di cui ci serviamo per provare le ipotesi è nella sua parte principale invariabile [...] : dalle ipotesi sotto esame - per esempio una legge universale - unitamente ad alcune altre proposizioni all'uopo accettate senza discussione - per esempio delle condizioni iniziali - deduciamo una prognosi. Questa prognosi poi la confrontiamo, tutte le volte che sia possibile, con il risultato di osservazioni sperimentali o di altra natura. Se la prognosi e le osservazioni concordano, l'ipotesi si considera convalidata, seppure non confermata del tutto; se sono palesemente discordi, l'ipotesi si considera confutata, e la sua falsità provata.
Secondo questa analisi non vi è molta differenza tra la spiegazione, la previsione e la sperimentazione. Si tratta di una differenza non di struttura logica, ma di enfasi; dipende da che cosa consideriamo problematico. Se consideriamo non problematica la prognosi e invece problematiche le condizioni iniziali o alcune delle leggi universali ( o tutte e due) da cui poter dedurre una data "prognosi" allora diciamo che si tratta di una spiegazione ( e la prognosi diventa allora l'explicandum). Se consideriamo non problematiche le leggi e le condizioni iniziali e ce ne serviamo soltanto per dedurre la prognosi al fine di ottenere delle nuove conoscenze, diciamo che si tratta di una previsione. (E questo il caso in cui applichiamo i nostri risultati scientifici.) E se consideriamo problematica una delle premesse, cioè, o una legge universale o una condizione iniziale, e se la prognosi può essere determinata dall'esperienza, allora diciamo di aver sottoposto la premessa problematica a prove sperimentali. » (1)
E qui veniamo al cuore della concezione popperiana, molto simile a quella che abbiamo già visto nei files su von Hajek.
Dopo aver affermato che il come è stata trovata una teoria è un fatto di natura del tutto privata (mah?!), Popper afferma che è, piuttosto, importante la domanda "come hai provato la tua teoria?". E' la sola domanda che importa dal punto di vista scientifico. (altro mah?!)
E spiega: «Ora, io sono persuaso che tutto ciò vale non solo per le scienze naturali, ma anche per quelle sociali. E nelle scienze sociali è ancora più evidente che in quelle naturali che non possiamo vedere ed osservare i nostri oggetti prima di aver pensato ad essi. Infatti la maggior parte degli oggetti della scienza sociale, se non tutti, sono astratti; sono costruzioni teoretiche. (Ad alcuni sembrerà strano, ma perfino "la guerra" o "l'esercito" sono concetti astratti. Uomini uccisi, uomini in divisa, ecc. - ecco ciò che è concreto.)
Questi oggetti, queste costruzioni teoretiche di cui ci serviamo per interpretare le nostre esperienze, risultano dalla costruzione di certi modelli (specialmente di istituzioni), per spiegare certe esperienze - un metodo teorico ben noto nelle scienze naturali (nelle quali costruiamo modelli di atomi, molecole, solidi, liquidi, ecc.), e che fa anche parte del metodo di spiegazione per mezzo della riduzione o della deduzione di ipotesi. E' vero che spessissimo non ci rendiamo conto che stiamo adoperando delle teorie, e che ci illudiamo che i nostri modelli teorici siano delle "cose", ma questo è un genere di errore comunissimo. Questo uso di modelli spiega, ed allo stesso tempo distrugge, le tesi dell'essenzialismo metodologico. Le spiega, perché il modello è di carattere astratto o teoretico, e noi facilmente crediamo di vederlo in mezzo al mutare degli eventi osservabili o dietro ad essi, come una specie di spettro permanente o di essenze. E le distrugge perché il compito di una teoria sociale è di costruire ed analizzare i nostri modelli sociologici attentamente in termini descrittivi nominalisti, cioè in termini di individui, dei loro atteggiamenti, delle loro speranze, dei loro rapporti, ecc. - postulato che possiamo chiamare "individualismo metodologico. (che abbiamo già visto in von Hajek, ndr) » (1)
Non a caso, Popper cita von Hajek riprendendo paragrafi piuttosto lunghi, per arrivare comunque ad affermare un'unità di metodo tra scienze naturali e scienze sociali, pur ammettendo alcune differenze.
Nel prossimo capitolo vedremo meglio questi aspetti della teoria popperiana concernenti il metodo.
note:
(1) Karl Raimund Popper - Miseria dello storicismo - Feltrinelli 1975
(2) essenzialismo è dottrina di derivazione aristotelica e consiste nell'approcciare ogni fenomeno ed ogni esistente con la domanda "che cos'è?", provocando così una risposta di tipo descrittivo con la pretesa di arrivare ad una definizione che esprima l'essenza di qualcosa. Ad esempio, per Aristotele l'uomo è animale bipede, razionale, politico (nel senso di socievole e cooperativo, ma anche di schiavista... ehm) Popper si proclama "nominalista", cioè fiero oppositore dell'essenzialismo. Per un nominalista i fenomeni si possono solo descrivere, ma non si può dire che cosa sia, ad esempio, un uomo, o cosa sia la "luce". Il nominalismo è di fatto una conseguenza della nascita della scienza moderna, a partire da Galileo e da Newton.