martedì 22 ottobre 2013

Tresnuraghes (Sardegna). La chiesetta campestre di Sant'Antonio e il concio della rete - trappola di yh(wh).

Grazie al prof. L.A. Sanna che così spesso ci consola e stimola con parole piene di saggezza, vuoi perché oltre ad essere insegnante ha la laurea migliore della vita vissuta e spesa per donare la conoscenza che ha acquisito , ed è quello che continua a fare con le ricerche e gli studi delle perle archeologiche sarde.

Sa Defenza



Una straordinaria figurina che ci osserva da dietro una rete. Legata a doppio filo ad un'altrettanto straordinario coccio dell' Età del Ferro da Gerusalemme, che rappresenta Yahweh e 'Asherah. Entrambe scritture logo-pittografiche ed icone di una divinità androgina le cui radici antiche si ritrovano oggi in Sardegna, conservate sulla pietra,  sull'argilla, sul bronzo. C'è un elemento in più nel documento che presentiamo oggi, che lega la documentazione sarda direttamente ad alcuni passi della Bibbia: la rete del dio yhw/yhwhScopriamone la valenza leggendo questo post, uno dei più significativi tra quelli che abbiamo pubblicato. MP

di Gigi Sanna

                                                   Fig.1                                                                         Fig. 2

1. La chiesa di Sant'Antonio da Padova a Tresnuraghes

Poco distante (500 m circa) dall'abitato di Tresnuraghes (1), all'uscita per la strada per Punta 'e Foghe e verso il noto santuario di San Marco si trova una chiesetta intitolata a Sant'Antonio da Padova. L'edificio religioso, per quanto architettonicamente caratteristico con i suoi  poderosi contrafforti (2) e la rossa cupola che intende richiamare le caratteristiche coperture delle 'pinnettas' presenti nel territorio di Tresnuraghes, è stata poco studiata e poco di essa è dato sapere. 
Si dice che sia molto antica e che fu fondata in  periodo bizantino; dato questo che si ricava dal fatto che alcune testimonianze riferiscono che essa originariamente fosse intitolata a Santa Maria di Costantinopoli. In seguito fu chiesa templare ed infine, restaurata in un periodo molto recente (3), fu dedicata a S.Antonio da Padova.
  Doveva avere  originariamente, in quanto edificata per il rito della chiesa di Bisanzio, pianta a croce greca, pianta che fu modificata in croce latina durante le fasi di un ampliamento in un periodo che però resta ignoto. Si accede ad essa dalla parte posteriore dell'edificio, attraverso tramite una stradina di poche decine di metri e attraverso un vecchio e malandato cancello in ferro battuto.    

2. Il  contrafforte crollato e il disegno graffito nel  concio. La 'rete'.

   Nel non ampio spiazzo antistante detta facciata posteriore si trova quello che rimane oggi di uno dei nove contrafforti (figg. 3, 6, 7, 8), ovvero un rudere di sei filari formati da conci, da blocchi e da pietrame di varia misura  per un totale complessivo in altezza di m 2,50. Nella parte a nord -ovest del contrafforte residuo ad una altezza di m 0,50 è stato scoperto (4) un concio (fig.4)  chiaramente epigrafico, perché, come vedremo,  in esso si trovano dei 'segni' anche se essi non appaiono subito identificabili nel loro significato particolare  e generale.
   Il concio (v. fig. 4) misura in larghezza 86 cm, in altezza 34 cm e in spessore cm 25 circa. La superficie interessata dai graffiti si estende per tutta la lunghezza del supporto se si escludono cm 10 circa  nella parte sinistra  di chi osserva il manufatto.            
   La parte  più vistosa del disegno riporta una rete già collocata, appesa  e tesa, la cui verosimiglianza o  forma 'realistica' è stata efficacemente resa  e dalle linee orizzontali delle maglie rettangolari o trapezoidali  lievemente ricurve verso il basso e dalla ampiezza delle maglie stesse che tendono, sia da una parte che dall'altra, a restringersi vistosamente verso il centro.
  Il disegno della rete risulta irrimediabilmente cancellato o deturpato nella parte centrale in alto (e per un certo tratto anche nella parte sinistra) a motivo di un vano tentativo di bloccare con della malta cementizia il cedimento definitivo del contrafforte, cedimento già in atto, evidentemente , da un tempo che però non è dato sapere. Il tentativo di rafforzare la struttura fu eseguito maldestramente, con delle pietre di zeppa e con della  malta  cosparsa un po' qua un po' là, tra i diversi conci e le pietre informi della base del contrafforte. Parte di essa, come si può vedere dalle figure 4 e 5 , fu stesa tra la zeppa del filare di pietre superiore, il nostro concio  e il filare di pietre successivo, interessando una decina di file della rete disegnata. Il risultato, come ognuno può notare, poteva risultare catastrofico se la malta fosse stata stesa un po' più sulla destra del concio epigrafico  perché, con il suo distaccarsi (cosa che avvenne, con ogni probabilità, qualche decina d'anni fa) dalla superficie su cui aveva fatto presa, avrebbe cancellato irreparabilmente la fondamentale 'strana' figurina che si trova mimetizzata nella stessa rete e disegnata tra la seconda e la terza riga delle maglie. Figurina 'fondamentale' come quella che tende a spiegare, come vedremo tra poco,  il perché di quella grande rete.


 Fig. 3. La parte posteriore della chiesetta di S.Antonio                                Fig.4 Il concio con il disegno della rete
con il contrafforte crollato (visibile tra le felci )                                                         sfregiato dalla malta 
             
Fig. 5                                                                                                            Fig. 6

Fig. 7 . Parte residua del contrafforte vista da nord -est                        Fig. 8. Parte residua del contrafforte vista da nord .


3. Il concio scritto: l'immagine di yh mimetizzata.
  
 Sulla parte destra della rete disegnata nel concio si trova un ulteriore disegno formato da tre parti. A partire dall'alto:
 - da una figura troncoconica
-  da un viso a forma di 'cuore' con gli occhi disegnati (il sinistro lievemente cancellato)
 - da un triangolo

     Ora, come si può facilmente notare, la figura troncoconica è manifestamente 'legata' o agglutinata  alla testa (v. fig.9) che a sua volta  risulta unita al triangolo inferiore.  Queste due ultime parti  se si aggiungono  le braccia mimetizzate sollevate verso l'alto a 'mo' di orante', suggeriscono l'immagine inequivocabile  della cosiddetta 'Tanit' ovvero l'immagine  di uno schema femminile che in nuragico appare molte volte con il valore della lettera semitica 'he'. di ispirazione protosinaitica.  Le braccia ovviamente, da noi evidenziate, come si può vedere ancora dalla fig.9, sono date da parte del filo orizzontale e verticale delle maglie in cui insiste la figurina.     

                                                                        Fig.9.
  
Detta  figurina o pittogramma (5) con valore fonetico dell'aspirata semitica 'hē compare identica o quasi identica nei sigilli cerimoniali regali di Tzricotu di Cabras (fig. 10), nei documenti (cocci) di Orani (figg.11 e 12) ed è sempre abbinata a voci  che riguardano yhw/yhwh.

Fig.10 

                                       Fig.11                                                                          Fig.12 (trascrizione).                                                                                                              
      Identificato dunque il segno a Tanit c'è da chiedersi che cosa mai rappresenti la figura conica che compare sulla testa di essa 'Tanit' ovverosia sulla lettera femminile 'hē.  Si tratta della lettera fallica maschile, cioè della lettera originaria pittografica protosinaitica che ha dato poi origine alla lettera schematica verticale ad asta, fatta propria oltre che dal nuragico dal greco  arcaico e quindi dall'etrusco e dal romano (6).
Essa, come ho tentato (vanamente) di spiegare (7) è la stessa lettera fallica monumentale taurina  dei mehnir, del nuraghe, del monumento santuario orizzontale  fallico di Gremanu di Fonni (v. figg. 13, 14, 15).  

                  Fig. 13.                                                         Fig.14.                                                       Fig.15.

4. L'androgino.

    L'unione della lettera fallica 'yod' pittografica insieme alla lettera 'hē' femminile,  ugualmente pittografica,  ubbidisce al criterio grafico di rendere non solo il suono del nome della divinità yh ma anche la sua essenza fondamentale, d'essere maschio e femmina nello stesso tempo e cioè androgino. Tuttavia nella scrittura nuragica, come si può vedere dal repertorio tratto da oltre 150 documenti (8), il segno non pittografico ma schematico sia della lettera maschile che di quella femminile possono  essere resi in modi differenti.

In particolare il primo è attestato:

-  con l'asta verticale o leggermente obliqua a destra o a sinistra ' |  /  \ '
-  con il segno semilunato con l'arco a destra ' )'
con la forma della nostra lettera yod 'Y' orientata a piacimento.

il secondo:

-  con la forma a 'V' rovesciata
-  con  il segno semilunato ' con l'arco orientato a sinistra
-  con il tratto orizzontale  '  '  più o meno esteso
-  con la forma a perentisi quadra '[variamente orientata 
- con la forma ad ellisse ' 0' 
                
    Forniamo qui di seguito, per comodità del lettore, una tabella con alcune delle varianti segniche, pittografiche e non,  con le quali è stato reso, nella documentazione nuragica, il nome di  yh/yhh/yhw/yhwh  o la voce palindromayh/hy' (9):  
     

   L'androginia del dio è attestata in Sardegna molto bene, in termini figurativi espliciti, grazie al rinvenimento di un coccio di provenienza incerta (10) il quale reca nella parte superiore l'immagine della divinità femminile (volto e ventre femminile) e maschile (fallo) e in quella inferiore (v. figg. 16,17, 18) in caratteri protocananaici il nome del dio yhw[h]
               
               
                                                Fig.16.                                                                     Fig.17
                         
                                               Fig.18                                                                      Fig.19 (trascrizione )
  
           Detta immagine con la presenza dello yhwh antropomorfico l'abbiamo paragonata, perché diversa nella forma, ma uguale nella sostanza, alla figura di yhwh e di 'asherah  resi schematicamente (figg. 20, 21, 22, 23)  in un coccio di anfora  palestinese pubblicato dal Garth Gilmour (11). Ora, c'è da notare che la figura schematica maschile  diyhwh disegnata sulla destra del coccio presenta sulla testa (resa simbolicamente  'triangolare', con il vertice verso il basso,  come quella della consorte) un segno inequivocabile;  cioè una protuberanza conica che rimanda al segno maschile fallico, unito con il consueto (12) artificio della 'legatura' di segni alfabetici,  alla testa della  cosiddetta Tanit, presente nel concio del contrafforte della chiesetta campestre di Tresnuraghes. Sembra evidente che in quest'ultimo il motivo conico maschile, reso essenziale per rendere la lettera alfabetica, surroghi l'intero schema maschile presente nel coccio rinvenuto dal Gilmour in Gerusalemme, mentre la lettera femminile a schema Tanit rende il motivo a 'bipenne' ugualmente femminile. Aspetto questo del tutto inatteso che fa ritenere più che legittimo pensare che i due segni simbolici quanto a significato coincidano e che quindi  per uno scriba disegnare una Tanit o una bipenne fosse la stessa cosa in quanto entrambi segni 'femminili',  alludenti alla dea lunare 'asherah, la sposa di 'IL/'El dio solare. Dio e dea, non dimentichiamolo, presenti nella 'religio' yhwistica nuragica in quanto il loro nome risulta attestato  (figg.24 e 25), con scrittura in mix di tipologia protocananaica,  nel frammento di anfora di tipologia cananaica del sito archeologico   di S'Arcu 'e is Forros di Villagrande Strisaili (13).
   In altre parole il disegno del concio del contrafforte della chiesetta di S.Antonio  reca scritta chiaramente la voce yhma nello steso tempo la polisemia di esso  invita, altrettanto chiaramente, a considerare la presenza del dio androgino impersonato dalle due divinità soli-lunari ILI ed Asherah. Tanto che non mi sembra azzardato il pensare che, nello stesso luogo o nelle immediate vicinanze,  preesistente alla chiesetta di S.Antonio ci fosse un santuario nuragico in cui si venerava il dio yh[wh] sole e luna, forse nelle sembianze  di 'Asherah e di ili.   
  
                                             Fig.20                                                                                  Fig. 21

                                        Fig. 22                                                                                 Fig. 23
                       

                                          Fig. 24                                                                                               Fig. 25


5. La lettura della scritta. Il concio di Tresnuraghes e quello di Bosa. 

   Riprendiamo ora la lettura dei segni presenti nel concio e vediamo di scoprine il senso preciso  dall'esame complessivo di essi. Notiamo che la figurina, che abbiamo identificato come il dio yh, si trova mimetizzata  come un 'ragno' nella tela o come un cacciatore dietro la rete la quale risulta già stesa e pronta a intrappolare qualcuno o qualcosa. La rete nella sua forma rettangolare, ancora oggi adoperata nella caccia,  risulta essere chiaramente quella (fig. 26) per intrappolare gli uccelli (fig. 27) di 'passo' (tordi, merli, storni, quaglie, palombe, ecc.). Leggeremo dunque'rete (da caccia per uccelli) di yh'.

                                         Fig. 26                                                                                                       Fig. 27

Essendo però presente ben mimetizzata non una comune persona ma la divinità nuragica, risulta chiaro che la rete da caccia, la trappola, vuole essere solo una metafora: non si riferisce agli animali bensì agli uomini. Il dio yh ha teso la rete, osserva 'con gli occhi ben aperti' come colui 'che tutto vede' (come risulta dalla figurina) e attende silenzioso (forse è questo il motivo simbolico per cui c'è la presenza degli occhi ma non della bocca). Gli uomini dovranno passare per forza in quel punto e una volta intrappolati tra le maglie della rete saranno catturati e uccisi. Ma chi sono questi uomini? Sono evidentemente quelli che si pongono nel 'sentiero' o 'passo' dell'iniquità e della malvagità, quelli che non rispettano le regole e i comandamenti del dio . Il senso della scritta del concio quindi è: 'rete da caccia di yh per gli uomini che non si comportano rettamente'. Un senso già soddisfacente questo ed esaustivo, se non insorgesse il dubbio che quella rete, in quanto rete non comune, rete di Dio, abbia bisogno di una maggiore definizione. Questa a mio parere, viene data dal supporto che come si vede è un parallelepipedo, un 'blocchetto' che, per metafora mutuata dall' architettura, assume il significato simbolico di fermezza, di solidità, di potenza.

   Ci rendiamo conto che, nonostante la notevole documentazione a conforto circa il valore del supporto nella scrittura, il significato che diamo potrebbe essere discutibile, aleatorio, non del tutto certificabile, se noi non possedessimo un altro chiaro quanto stupefacente documento scritto (14) in bronzo (v. figg. 28, 29, 30)  che mostra la figura geometrica stranamente effigiata sulla fronte del toro, con l'evidente significato 'di potenza' (della vita, dell'albero della vita). 
       
                     Fig. 28                                                Fig.29                                                     Fig.30 (particolare)

       Quindi, con ogni probabilità,  'potenza'  della rete da caccia di yhwh . Yhwh così come è capace con la sua immensa potenza di proteggere e di salvare il suo popolo (15), così è in grado di  sterminarlo quando esso è malvagio, non rispetta i comandamenti  e si pone contro la 'legge'.
   Ci piace pensare che nel santuario nuragico di Tresnuraghes, celebrato dai pellegrini forse più di mille e cinquecento anni prima della costruzione del nuovo edificio di culto cristiano, il concio con il monito della potenza diyhwh 'uccellatore di uomini' fosse, nel medesimo monumento, affiancato anche da altri che ne magnificavano, con scritte simili, la santità, la giustizia, la sapienza. Del resto, un famoso concio ugualmente in arenaria (v. fig. 31), riciclato anch'esso per ornare la facciata esterna sinistra della chiesa di S,Pietro extra muros di Bosa (si noti cheBosa dista da Tresnuraghes pochi chilometri) situata in territorio denominato (guarda caso!) Santu Yahw, reca incisi dei pittogrammi e dei segni schematici lineari di tipologia protocananaica (16) che inneggiano allo yhwh celeste (alato) 'Š(a/e)RD(a/e)N', cioè Signore Giudice


                                                        Fig.31                                                 Fig.32 (trascrizione dei segni).

Il concio della chiesetta di S.Antonio di Padova di Tresnuraghes e quello della chiesa di S.Pietro  di Bosa, per quanto diversi  stilisticamente e come tecnica di incisione, mostrano tuttavia affinità notevoli in quanto entrambi non solo parlano della stessa divinità,  servendosi pittograficamente dei suoi simboli, sempre pregnanti e allusivi (secondo le norme delle scuole scribali in atto da tempo nella Sardegna nuragica), ma anche realizzano  il 'prodotto'  con uguale fantasia, perizia e capacità di disegno. Con una mente sempre vigile nell'impiegare lo spazio, abituata ad una 'essenzialità' tutta moderna, si direbbe quasi  'pintoriana' (17), di realizzare con il poco o pochissimo 'segnico' il molto di senso che non subito, ma pian piano, dovrà  apparire manifesto a colui che sa osservare e sa leggere il testo sacro. Audaci pittogrammi polisemici  come il volatile con le ali 'sollevate' a schema Tanit del concio di Bosa  o  come la Tanit occhiuta, mimetizzata dietro una rete da caccia, del concio di Tresnuraghes, sono indice  indiscutibile di una scuola altissima  di 'designer' di geniale grafica scribale finalizzata alla conferma e alla diffusione della 'religio' del dio unico potentissimo, giudice e giustiziere. E forse non è un caso che oggi  si assista al curioso fenomeno artistico di moderni artigiani isolani e anche di professionisti  'designer' di prodotti industriali che, più o meno coscienti del significato della non soluzione di continuità etnica storico-culturale, sebbene in un ambito tutto diverso perché laico, ripropongono nel legno, nella ceramica, nel vetro e nel metallo (spesso accanto alla lingua arcaica della toponomastica), i 'segni' pittografici o schematici della scrittura del  passato.

 6. La letteratura con la metafora di yhwh cacciatore con la rete: i passi biblici di Josia (23:19) e di Isaia (8:13:14)

 Crediamo di aver dimostrato in questi anni, con non pochi esempi, la presenza della letteratura biblica in alcuni dei  manufatti della ceramica e della bronzistica nuragica (18). E' indubbio che la produzione nuragica degli oggetti sacri è tutta ascrivibile al culto del dio androgino  'cananaico' e non ancora 'israelitico'  IL YHWH. Ma essa poco si discosta da quello che noi già conosciamo dalla letteratura biblica e in particolare dai libri della Torah. Il bronzetto raffigurante un 'gran sacerdote', un erede 'levitico' di Aaronne con il diadema della santità (fig.33), il frammento fittile del 'log' di Sa Serra 'e sa fruca di Mogoro (fig.34) oppure i numerosissimi esempi della presenza del pettorale del giudizio (deisignori giudici o šerden) nella bronzistica e nella statuaria (figg. 35 e 36), mostrano questa straordinaria affinità tra il culto cananaico (con una presenza dunque di libri e di una letteratura anteriore, specificamente cananaica) e quello israelitico di yhwh
   Lo stesso concio di Bosa e la Stele di Nora (fig. 33) nonché il ciondolo di Allai (fig.38) con la chiara presenza della voce ŠRDN, richiamano non solo una delle prerogative del dio Yhwh ma un ben preciso libro del VT in cui gli antichi signori o re di Israele vengono chiamati 'Giudici'.
   'ŠRDN' ovvero 'signori Giudici' sono anche, in tutta evidenza, i principi o re sardi, in quanto essi si mostrano figli di YHWH 'SHRDN' (19).

                                                     Fig. 33 (da Lilliu)                                                       Fig. 34
             

                                                              Fig. 35 (da Lilliu)                                                    Fig. 36

                               
                                                             Fig.37                                                               Fig.38

 Ora, anche il senso della scritta con la presenza del yh  nuragico del concio della chiesa di S. Antonio di Tresnuraghes richiama passi ben precisi della letteratura biblica nei quali il dio Yhwh viene descritto come  un terribile(20) sterminatore e giustiziere munito di rete.
   Si veda il brano in cui Yhwh  usa la 'rete' indirettamente (attraverso le nazioni ostili a Israele) : 

 “Allora abbiate per certo che il Signore, vostro Dio, non continuerà a distruggere quelle nazioni davanti a voi, ma esse saranno per voi un laccio e una rete (לפח ולמוקש  lepaḥ  ulemoqēš) , una trappola, un flagello ai vostri fianchi, sinché non siate spariti da questo buon paese che l'Eterno, vostro Dio, vi ha dato” (Jos 23:13)

 E direttamente:

 “ YHWH degli eserciti, quello santificate! Sia lui quello che temete e paventate! Ed egli sarà un santuario, ma anche una pietra d'intoppo, un sasso d'inciampo per le due case di Israele, un laccio e una rete (ולמוקש   לפח  lepa ulemoqēš)  per gli abitanti di Gerusalemme” (Isaia, 8:13:14).  

(continua)

 Note e riferimenti bibliografici
1. Distante pochi chilometri da Bosa,  Tresnuraghes si trova a nord della provincia di Oristano, a cavallo dei territori storici del Montiferru e della Planargia.  Il paese era così chiamata a motivo di tre nuraghi (tres nuraghes), evidentemente molto vicini e visibili da lontano, che caratterizzavano il paesaggio abitato dalla comunità. Una volta fiorente centro agricolo - pastorale, oggi si caratterizza anche per le notevoli attività turistiche data la presenza di strutture ricettive nelle coste e nell'interno. Possiede un patrimonio archeologico di notevole interesse,  dato soprattutto dalla  presenza di Domus de Jana e di  nuraghi abbastanza importanti e rinomati, come il  Tepporo, il Martine e il Nani. Quest'ultimo è stato di recente posto all'attenzione degli studiosi dal lavoro del GRS (Gruppo Ricerche Sardegna) a motivo del singolare ricorrente 'fenomeno della luce del foro apicale' (V. http://gianfrancopintore.blogspot.it/2012/08/levento-della-luce-dei-fori-apicali-del_7528.html).  Nel territorio si trovano edifici di culto cristiano ancora frequentati dai devoti e dai pellegrini,  tra i quali il più noto è ilSantuario di San Marco, a 7 km dal paese nella strada che porte alla marina di Foghe (la 'foce' di Su Riu Mannu), che si festeggia con balli e canti in lingua sarda e con una suggestiva processione che avviene la prima domenica di  Settembre. Ci piace segnalare che in detta festa le famiglie abbienti del paese donano ai devoti e ai pellegrini, accorsi da tutto il circondario, il cosiddetto 'pane tundu', il pane di forma circolare che forse richiama, per la sua stessa forma e per la parola, antichissimi riti religiosi per il culto degli astri la cui origine si perde nella notte dei tempi. Per altre notizie archeologiche, economiche, religiose e storiche riguardanti Tresnuraghes si vedano: Mele G., 1993, Il Montiferru, EDISAR, Cagliari; Brigaglia M.- Tola S., 2003, (a cura di ) Dizionario storico - geografico dei comuni della Sardegna, Delfino, Sassari; Floris F., Grande Enciclopedia della Sardegna, Newton & Compton, Sassari 2007.
2. L'uso dei contrafforti o barbacane per sostenere soprattutto la spinta delle arcate  laterali delle chiese campestri sarde è assai comune (si vedano le chiesette di San Bachisio e di S.Lucia a Tempio Pausania, di San Vincenzo a Siris, di  San Leonardo a Luras, di San Lussorio di Aggius, di Nostra Signora di Cabu Abbas di Torralba, di S.Andrea di Quartu S. Elena, di San Giorgio di Palau, di S. Giorgio di Donori, di S. Lorenzo di Monserrato, di Santu Miali di Irgoli, di S.Antonio di Isili,  ecc.).
3. Presumibilmente tra gli anni '30 e '40 del secolo scorso.
4. Il reperto è stato scoperto casualmente dal dott. Gianni Fiorelli, un ingegnere di Bosa che, non sapendo precisamente di cosa si trattasse, lo ha postato per un certo tempo (mese di maggio 2013) su 'facebook'. Informato dal Fiorelli sul luogo e la struttura architettonica in cui esso si trovava, agli inizi del mese di Ottobre è stato da noi effettuato un sopralluogo nella chiesetta di S. Antonio a Tresnuraghes alla presenza dello stesso Fiorelli, del sign. Giovanni Piras di Tresnuraghes e di altri testimoni.
5. Il pittogramma acrofonico della fricativa laringale (dalla voce semitica hll ﬣﬥﬥ, 'invocare', 'adorare',  'salutare con le braccia sollevate' ) è di origine protosinaitica, cioè del codice  di scrittura che lo adottò probabilmente dal segno egiziano (Gardiner A 28). V. Attardo E., 2007, Utilità della paleografia per lo studio, la classificazione e la datazione di iscrizioni semitiche in scrittura lineare; in Litterae Caelestes. Center for Medieval  and Renaissance  Studies, 2 (1) p. 154.
6. Per la problematica, anche per quanto riguarda la pronuncia del segno, V. Bernal M., 1990, Cadmean Letters, Eisenbrauns Winona Lake, pp. 98 - 99.
7. Sanna G., 2004, Sardoa grammata. 'ag 'ab sa'an yhwh. Il dio unico del popolo nuragico, S'Alvure Oristano, passim; in part. cap. 4, p.153, tab. 15
8. Per un repertorio ormai parziale (perché fermo al 2012), si veda Sanna G, 2012, Alfabeto nuragico, Aggiornamento (al 2011): poche le sorprese; inhttp://gianfrancopintore.blogspot (12 febbraio). (Ndr: poichè il sito gianfrancopintore.net è momentaneamente non accessibile, si veda questo post per una tabella dell' alfabeto nuragico, aggiornato al 2012: http://monteprama.blogspot.it/2013/05/aidomaggiore-sardegna-il.html)
9. Qui di seguito la documentazione a cui si riferisce la tabella: Prima colonna: 1Santuario di Gremanu di Fonni 2.  Schema del pozzo sacro. 3. Schema del nuraghe. 4. Sigilli di Tzricotu di Cabras 5. Bronzetto nuragico 6. Sigilli di Tzricotu di Cabras 7. Sigilli di Tzricotu di Cabras 8. Sigilli di Tzricotu di Cabras 8.  Seconda colonna:  1. Vaso di la Prisgiona di Arzachena 2. Pietra basaltica di Aidomaggiore 3. Concio della Chiesa di San Pietro extra muros a Bosa 4.  Coccio di Orani 5. Ciondolo di Solarussa 6. Sigillo di S. Imbenia di Alghero. 7. Sigillo A3 di Tzricotu di Cabras 8.  Pietra sacrificale di Santa Maria Navarrese.
10. Il coccio non si sa se provenga dal territorio di Allai o di Samugheo.
11. Sanna G., 2012, Yhwh in immagine pittografica. Garth Gimour: per la prima volta a Gerusalemme? No, in Sardegna. E con intrigante scrittura šardan; in Monti Prama. Rivista semestrale di cultura di Quaderni Oristanesi, n.61, pp. 27 - 42. (cit. Garth Gilmour, AN IRON AGE II PICTORIAL INSCRIPTION FROM JERUSALEM ILLUSTRATING YAHWEH AND ASHERAH,  Palestine Exploration Quarterly , 141, ,2009, 87–103).
12. Sanna G., 2011, Scrittura nuragica: ecco il sistema. Forse unico nella storia della scrittura; in Monti Prama. Rivista semestrale di Quaderni Oristanesi n.62 pp. 25 - 38.
13.  M. A. Fadda, 2012, S'Arcu 'e is Forros. Nuragici, Filistei e Fenici fra i monti della Sardegna (scheda di G. Garbini); in Archeologia Viva, anno XXXI,155, Settembre/Ottobre pp. 46 - 57. Sanna G,, 2012, Anfora con scritta di S'Arcu 'e is Forros. Garbini: in filisteo - fenicio. No, in puro nuragico; in Gianfrancopintore blogspot.com (10 settembre).
14.  Sanna G., 2012, Il magnifico toro alato o bue api di Villaurbana; in gianfrancopintore blogspot.com (6 Agosto).
15. Esodo, 14 e 15.
16. Sanna G., 2008, Le iscrizioni in alfabeto nuragico (protosinaitico e protocananaicodella capanna di Perdus Pes di Paulilatino; inQuaderni Oristanesi, n. 59/60, p.28, fig. 36; idem, 2009, La stele di Nora. The Nora stele. Il Dio, il Dono, il Santo. The God, the Gift, the Saint (trad. in lingua inglese di Aba Losi), cap. 2, p. 58, fig. 19. 
17.  Parlando di disegno  e di segni ci piace ricordare qui il grande artista, grafico di fama internazionale, Giovanni Pintori (1912 -1999) nativo di Tresnuraghes. Certi suoi lavori pubblicitari, apprezzatissimi per disegno, capacità sintetiche ed efficacia simbolica, contribuirono a rendere prestigiosa e famosa nel mondo la ditta di Adriano Olivetti (in seguito quelle di tanti altri).
18.  Sanna G., 2011, Yhwh e la scrittura nuragica. Un successore di Aaronne con il diadema della santità; in Gianfrancopintore blogspot. com (17 dicembre); idem, Yhwh e la scrittura nuragica Il log e il recipiente biblico per il rito dei Leviti della purificazione; in gianfrancopintore blogspot.com (25 novembre).
19. Sanna G.,  2009, La stele di Nora. Il Dio, il Dono, il Santo, cit. cap. 3, pp. 83 - 84.
20. Sullo yhwh dal titolo di 'terribile' (יהוה אם) si veda Viganò L. 1976, Nomi e titoli di YHWH alla luce del semitico del  Nord -ovest,  Rome, Biblical Institute Press, pp. 110 -118. 

domenica 6 ottobre 2013

OBE: realtà o allucinazione?

OBE: realtà o allucinazione?


di Ciro Scotto
fintatolleranza

La separazione dell’anima dal corpo viene associata prevalentemente al concetto definitivo di morte. Tuttavia esistono esperienze particolari in cui l’anima di un soggetto può temporaneamente uscire dal proprio involucro materiale per poi farvi di nuovo ritorno. Si tratta di esperienze di cui le religioni e le tradizioni di ogni tempo e luogo già riportano nei loro testi sacri e filosofici.Nell’antichità, letterati e filosofi come Socrate, Plotonio, Platone, Plinio e Plutarco ci narrano di esperienze fuori dal corpo. In particolare, Plotonio afferma di aver vissuto tale esperienza più volte; Platone, invece, nel suo dialogo La Repubblica ricorda l’esperienza extrasomatica di Ero.

Nell’induismo, le Upanishad narrano spesso di grandi iniziati capaci di uscire dal proprio corpo fisico e compiere viaggi verso altri piani di realtà tramite un secondo corpo immateriale, più “sottile”, detto corpo astrale, dal quale si dipartirebbe un cordone che lo terrebbe legato al fisico. Così come nel libro Ecclesiaste della Bibbia (tradizione giudeo-cristiana), al versetto 12,6, si legge proprio di un “cordone d’argento” che terrebbe unita l’anima al corpo. I riti di iniziazione al culto di Mitra prevedevano viaggi astrali. Ancora, nel Libro Tibetano dei Morti si parla di un doppio (corpo bardo) capace di uscire dal corpo fisico. Nella tradizione egizia, invece, ogni uomo possedeva ben quattro anime, di cui una corrispondente al corpo astrale (ba), raffigurata come un uccello dal volto umano. Inoltre, sia nel Buddismo Mahayana che nell’antica tradizione cinese si riconosce la capacità di poter provare esperienze extracorporee in seguito a pratiche meditative. Ed esperienze fuori dal corpo vengono anche riportate da stregoni e sciamani di vari culti tribali.







Ma è soprattutto nella sconfinata letteratura esoterica che il viaggio astrale viene descritto nella sua forma più completa. All’inizio del XX secolo, movimenti quali la Società Teosofica di Madame Blavatsky e la Società Antroposofica di Rudolf Steiner diffusero al grande pubblico le antiche conoscenze di concetti metafisici fino ad allora gelosamente custoditi da ristretti gruppi esoterici, quali i Rosacroce e la Massoneria, tanto per citarne alcuni tra i più conosciuti.

Negli ultimi anni poi, con la nascita del movimento New Age (successivamente Next Age), il fiorire di numerosi libri sull’argomento e l’avvento di internet, il concetto di esperienza fuori dal corpo o viaggio astrale ha subìto oltre che una diffusione spropositata anche una distorsione del suo significato, presentatoci sotto una forma piuttosto grottesca che ha poco a che vedere con la serietà e la profondità di tale fenomeno.

Cos’è precisamente dunque un’esperienza extracorporea oppure OBE (acronimo dell’inglese Out of Body Experience), talvolta chiamata anche proiezione, sdoppiamento o viaggio astrale?


Si definisce OBE un’esperienza in cui un soggetto percepisce il proprio io al di fuori del proprio corpo fisico. Questo tipo di esperienza può avvenire in seguito a svariate cause, come un incidente, una malattia, periodi di stress, ma anche spontaneamente durante il sonno o addirittura in seguito ad un atto volontario. E proprio in base alle cause che ne provocano il fenomeno, si può subito fare una distinzione tra le OBE vere e proprie e le cosiddette NDE (Near Death Experiences) o esperienze di pre-morte, che invece riguardano pur sempre esperienze extracorporee ma propriamente di soggetti che si vengono a trovare in situazioni molto critiche o addirittura in punto di morte e che, una volta rianimati e quindi “tornati alla vita”, riferiscono poi non solo di essersi ritrovati fuori dal proprio corpo e di averlo visto dall’esterno (autoscopia), ma anche di aver vissuto esperienze in luoghi particolari e con entità di altre dimensioni. Possiamo quindi inglobare le NDE sempre nel filone più generico delle OBE, cioè delle esperienze extra-corporee, ma facendo attenzione a non ritenerle soltanto tali, in quanto si tratta di esperienze ancora più complete e più estreme.


Inoltre, per essere ancora più precisi, andrebbe fatta un’ulteriore distinzione tra i termini OBE e viaggio astrale, in quanto il primo è più generale mentre il secondo è tipico delle proiezioni ambientate nel cosiddetto piano astrale. Ma per comprendere meglio questa differenza e anche la dinamica precisa di queste esperienze è opportuno fare prima un piccolo approfondimento su quella che potremmo definire la struttura fisio-energetica dell’uomo riportata (seppur con nomi diversi) dalle varie mistiche di tutto il mondo presentandola anche in relazione ai vari piani di esistenza.

L’uomo sarebbe in effetti un’entità molto complessa costituita da sette “corpi”: tre superiori (spirituali) e quattro inferiori detti della personalità. Per spiegare la dinamica di una OBE o di un viaggio astrale sarà sufficiente prendere in considerazione soltanto i quattro corpi inferiori della personalità, per i quali useremo nomi che oggi possono essere definiti universali, in quanto largamente diffusi dal movimento New Age, e quindi più “familiari” al vasto pubblico, e che elenchiamo qui in ordine dal più “denso” al più “sottile”: corpo fisico, corpo eterico, corpo astrale e corpo mentale (inferiore).

Il corpo fisico, il più “denso”, è quello che noi tutti conosciamo e che spesso viene identificato con l’intero essere umano. È il corpo tangibile, costituito di materia ordinaria, che ci permette di fare esperienza del mondo fisico attraverso i cinque sensi fisici (vista, udito, olfatto, gusto e tatto).

Il corpo eterico, meno denso del fisico, non è un vero e proprio corpo. Possiamo paragonare il corpo eterico a una sorta di campo in cui è strutturata l’energia vitale (prana, chi, pneuma, ka, ecc..) di un uomo, la quale circola in un sistema molto complesso formato da centri energetici (chakras) e da canali (meridiani), simile all’apparato circolatorio sanguigno. Il corpo eterico è detto anche corpo vitale perché dà vita al corpo fisico ed è responsabile della sua struttura: l’eterico è il campo che dice alle cellule fisiche come disporsi. La morte del corpo fisico infatti avviene soltanto con la rottura del cordone d’argento e la definitiva separazione del corpo eterico da quello fisico.



Il corpo astrale, meno denso dell’eterico, è composto di materia astrale, cioè appartenente almondo astrale che possiamo immaginare come un piano di realtà o una dimensione con una “vibrazione” propria superiore a quella in cui “vibra” il mondo fisico, e che quindi coesiste con esso ma senza interferirvi. Il corpo astrale è anche detto corpo emozionale perché, filtrando le informazioni provenienti dall’ambiente esterno, percepisce ed elabora sensazioni ed emozioni.

Il corpo mentale (inferiore), meno denso di quello astrale, corrisponde a quella che noi tutti chiamiamo mente, cioè la sede delle facoltà e attività intellettive e conoscitive dell’uomo.

Dopo questo breve approfondimento sulla struttura fisio-energetica dell’uomo e dei relativi piani di esistenza, possiamo finalmente descrivere l’effettiva dinamica di una proiezione, che esporremo prima da un punto di vista “esoterico” e successivamente da un’ottica accademico-scientifica.
Il corpo responsabile dello sdoppiamento è il cosiddetto corpo astrale. Durante lo stato di veglia e durante la fase di sonno profondo (senza sogni), il corpo astrale combacia quasi perfettamente col corpo fisico, uniti insieme tramite il corpo eterico. Ma nella fase di sogno, cioè la fase REM (acronimo diRapid Eye Movement), il legame tra il complesso fisico-etericoed il corpo astrale “si allenta”, permettendo così la separazione o fuoriuscita del corpo astrale da quello fisico, il che avviene inconsapevolmente più volte al giorno. Si parla però più propriamente di “esperienza” extracorporea soltanto quando il soggetto è consapevole dello stato in cui si trova. Questa separazione può essere considerata come un processo naturale di ricarica energetica del corpo fisico, il quale infatti durante il giorno, in seguito alla sua attività, consuma energia eterica o vitale che quindi dovrà poi essere recuperata attraverso l’esposizione del corpo astrale all’ambiente esterno che invece risulta sempre essere pregno di questa energia.


La maggior parte delle esperienze fuori dal corpo, quindi, avviene in maniera del tutto involontaria, anche se esistono modi e tecniche per indurle volontariamente. Di solito il punto di partenza di uno sdoppiamento involontario sembra essere quel particolare tipo di sogno detto “sogno lucido” in cui ci si rende conto di stare appunto sognando. Di qui il passo da fare per tramutare un sogno lucido in una OBE è davvero breve, basta infatti che il soggetto acquisisca maggior consapevolezza per “sintonizzarsi” sullo stato superiore di OBE.

Tuttavia in ogni OBE, a seconda dello stato di coscienza del soggetto, vi può essere una certa deformazione onirica degli eventi. E come già accentato in precedenza, si parla di OBE quando l’esperienza extrasomatica è ambientata sul piano fisico, mentre si parla più propriamente di viaggio astrale quando ambientata sul piano astrale.

Per quanto riguarda le proiezioni volontarie esistono svariate tecniche, ma occorrerebbe in merito una trattazione molto ampia che però esula da quelli che sono gli scopi del presente articolo. Esistono comunque numerosi libri che trattano di OBE e che illustrano tecniche per indurle, tra i quali segnaliamo al lettore il primo libro di Robert Allan Monroe, considerato da molti come uno tra i migliori testi sull’argomento.
Robert Monroe è stato un vero e proprio pioniere del XX secolo nel campo delle esplorazioni extracorporee. In circa trent’anni di pratica ebbe numerosissime esperienze fuori dal corpo, descritte con grande minuziosità nei suoi libri, per le quali elaborò una sua personale teoria senza fare mai uso della terminologia “esoterica”, ma coniando termini propri e affrontando la questione più da un punto di vista scientifico. Chiamò il corpo responsabile degli sdoppiamenti (corpo astrale) semplicemente col nome di “secondo corpo”, e ne elencò e descrisse tutte le caratteristiche da lui osservate. Anche per i vari piani di esistenza adottò una sua terminologia. Egli individuò tre “dimensioni” da lui chiamate: localizzazione 1 (olocale-attuale), localizzazione 2 e localizzazione 3. La localizzazione 1 coinciderebbe con il livello energetico più alto del piano fisico, la localizzazione 2 invece col famoso piano astrale, mentre la localizzazione 3 si potrebbe definire più come una sorta di universo parallelo, molto simile al mondo fisico ma con delle leggi proprie leggermente differenti a quelle fisiche.

Le sue esplorazioni nel “secondo stato” (così Monroe chiamava la condizione di sdoppiamento) attirarono l’interesse di molti studiosi, tra i quali ricordiamo soprattutto il dottor Charles Tart, anche autore della prefazione del già succitato primo libro di Monroe.
Tart effettuò il primo esperimento, nel pieno rigore del metodo scientifico, sull’esteriorizzazione della coscienza, realizzato presso l’Università Davis in California,avvalendosi della collaborazione di un particolare soggetto femminile. Nell’esperimento, mentre un elettroencefalografo le misurava l’attività cerebrale, questa doveva addormentarsi ed uscire dal proprio corpo e sempre in tale stato spostarsi per vedere l’orario su di un orologio posto sopra un ripiano abbastanza alto (lontano dalla portata della sua vista fisica) e leggere poi un numero di cinque cifre scritto a caso da Tart su un biglietto. La donna, dopo circa due notti, riuscì a leggere sia l’ora che il biglietto e si notò che effettivamente, a quell’ora, l’elettroencefalogramma aveva un andamento irregolare. Tart ed i suoi collaboratori conclusero che sicuramente qualcosa di singolare era accaduto, ma non arrivarono a nulla di conclusivo sul fenomeno.

Dopo Tart, vi sono stati numerosi altri scienziati che si sono interessati al fenomeno OBE e che, grazie alla collaborazione di soggetti capaci di sdoppiarsi spontaneamente o in modo volontario, hanno potuto raccogliere dati ed elementi necessari per realizzare uno studio accurato sul fenomeno, ed alcuni di essi sono riusciti realmente a riprodurlo nell’ambiente rigoroso di un laboratorio sperimentale. La domanda fondamentale alla quale si cerca di dare una risposta tramite questi studi è sempre la stessa: «Vi è realmente uno “spostamento” nello spazio di una parte non-fisica del soggetto, oppure egli immagina solamente di uscire dal suo corpo?». Cioè, dal momento che è indubbia la realtà soggettiva del fenomeno, l’obiettivo principale resta quindi di capire e dimostrare se le esperienze fuori dal corpo possano essere realmente tali, e quindi abbiano una certa realtà oggettiva, oppure siano addirittura soltanto frutto dell’immaginazione di chi le sperimenta, o il risultato di un’alterazione percettiva che avverrebbe in particolari stati diversificati di coscienza, magari dovuti all’effetto di qualche disfunzione a livello cerebrale o indotti dall’uso di particolari sostanze.



A tal riguardo, è da menzionare lo studio condotto da Karl Jansen, farmacologo e psichiatra del Maudsley Hospital di Londra, il quale osservò che le percezioni descritte da coloro che affermano di aver avuto un’esperienza extrasomatica somigliano molto alle allucinazioni indotte da una sostanza nota col nome di ketamina. Precisamente si tratta di un farmaco, sintetizzato nel 1962, usato per decenni in chirurgia come anestetico generale. Oggi però il suo impiego legale, a causa delle forti proprietà allucinogene e dei suoi pericolosi effetti sul sistema nervoso centrale, è limitato soltanto all’ambito veterinario. La ketamina viene tuttavia ancora usata illegalmente da alcuni individui come droga e induce stati alterati di coscienza che ricordano non soltanto le esperienze extracorporee, ma anche le NDE (tunnel buio verso una sorgente di luce, rivisitazione di episodi della propria vita, ecc… ). Questa sostanza, secondo Jansen, produrrebbe allucinazioni nel cervello, perché blocca i recettori del neurotrasmettitore glutammato, il quale ha un ruolo importante nei processi della percezione, della memoria e del pensiero cosciente. In particolare, se una persona non riceve abbastanza ossigeno o ha una carenza di zuccheri, i suoi neuroni potrebbero produrre grandi quantità di glutammato che così diverrebbe tossico per le cellule del cervello. A questo punto Jansen ipotizza che probabilmente i neuroni stessi, per prevenire i danni, rilascino anche delle molecole in grado di bloccare i recettori del glutammato, svolgendo così la stessa funzione della ketamina. E questa ipotesi sembra essere avvalorata dal fatto che la maggior parte delle esperienze extracorporee avvengono soprattutto d’estate in individui asmatici, che quindi a causa di una respirazione scorretta subirebbero una sorta di “intossicazione” del cervello dovuta proprio ad una carenza di ossigeno e ad un accumulo di anidride carbonica. Ma l’ipotesi di Jansen, non trovando finora alcuna conferma sperimentale, resta anch’essa ancora soltanto tale.

Anche la psicologa Susan Blackmore, dell’Università inglese del West England, a Bristol, si è dedicata per anni allo studio delle OBE e alla sperimentazione personale di esperienze di esteriorizzazione indotte con l’aiuto di sostanze psicotrope e svariate tecniche di meditazione. Secondo la Blackmore, una OBE ha luogo quando una persona perde contatto con gli input sensoriali provenienti dall’ambiente esterno ma rimane tuttavia cosciente. La risposta del cervello alla mancanza di dati esterni da elaborare sarebbe così quella di creare autonomamente “falsi input”, provenienti anche dalla memoria, creando così una realtà esterna illusoria. Il soggetto, quindi, oltre a conservare la sensazione di possedere un corpo, percepirebbe anche l’esistenza di un mondo molto simile a quello in cui vive da sveglio, ritenendo così la sua esperienza reale. In definitiva quindi, possiamo dire che, per la Blackmore, una OBE sarebbe in tutto e per tutto soltanto un sogno lucido, ma con una “chiarezza mentale” ancora maggiore. Ma anche questa resta soltanto un’ipotesi ancora tutta da dimostrare.
Va infine menzionato lo strano collegamento che esisterebbe tra le OBE e il fenomeno delle cosiddette “paralisi nel sonno”. Infatti, nelle fasi che subito precedono o seguono un’esperienza extrasomatica si riscontrano spesso fenomeni quali la cataplessia (perdita del tono muscolare), le allucinazioni ipnagogiche o ipnopompiche (sogni non-REM) e le paralisi nel sonno, che sono anche i tipici sintomi di alcune “malattie del sonno”, tra le quali citiamo la famosa narcolessia. In queste fasi, il soggetto si troverebbe in uno stato di dormiveglia in cui una parte del cervello è cosciente, riconoscendosi dunque sveglio, mentre la parte deputata al movimento verrebbe disinibita, come nel normale sonno, per evitare movimenti fisici involontari che tendano ad imitare le azioni del sogno. Di qui la sensazione di immobilità, di sentirsi toccati sul petto e così via. Contemporaneamente inoltre, come dicevamo, si verifica anche il fenomeno delle cosiddette allucinazioni ipnagogiche o sogni non-REM. Si tratta di sogni, molto simili ad allucinazioni, che avvengono nella fase di sonno profondo e che vengono percepiti dal soggetto come esperienze reali, spesso terrificanti: si ha la sensazione di essere completamente svegli e tutto quello che accade intorno, per quanto poco probabile, appare terribilmente vero.

Le esperienze fuori dal corpo sembrano quindi mettere in crisi lo stesso concetto di realtà. Ma cos’è la realtà? E cosa si intende invece per allucinazione?
Molto sommariamente, si tende a ritenere una certa cosa come reale soltanto quando questa possiede una certa oggettività, cioè quando la sua esistenza è verificabile da chiunque (realtà oggettiva), ossia quando è comunemente vissuta o sperimentata da tutti; mentre si tende a liquidare come “allucinazione” un’esperienza pur sempre realmente vissuta, ma soltanto dal soggetto che la sperimenta (realtà soggettiva), e quindi non riscontrabile o dimostrabile all’infuori di esso. L’allucinazione, pertanto, non è un fenomeno che riguarda qualcosa di completamente inesistente o del tutto irreale (come molti erroneamente pensano!), ma riguarda invece qualcosa che comunque esiste, seppur soltanto nel mondo interiore del soggetto sperimentante, il quale molto probabilmente in seguito ad un’alterazione del suo stato di coscienza perviene alla percezione di altre realtà che vanno ben oltre quella comunemente sperimentata da tutti gli altri individui che invece permangono nel comune e ordinario stato di veglia: in poche parole, un’allucinazione potrebbe senz’altro rivelarsi come qualcosa di reale e di concreto, però su di un piano coscienziale non ordinario, appartenente cioè alla cosiddetta sfera extra-sensoriale delle possibilità umane.

Vi è pertanto un errore di fondo nel considerare reale soltanto ciò che ha valore di oggettività, trascurando spesso di considerare il fatto che, molto probabilmente, una cosiddetta “allucinazione” percepita da un determinato soggetto cesserebbe di essere considerata come sinonimo di irrealtà dal resto degli individui “esterni” ad esso, non appena tutti questi venissero a trovarsi nelle sue medesime condizioni percettive, e poter così sperimentare tutti insieme la stessa“allucinazione collettiva di massa”… o realtà?


mercoledì 2 ottobre 2013

Un’inaspettata attività nel cervello in coma


Un’inaspettata attività nel cervello in coma


Anche in presenza di un elettroencefalogramma piatto, l'ippocampo, una struttura profonda del cervello, può avere un'attività residua. La scoperta non mette a rischio la validità dei criteri con cui è stabilita la morte cerebrale e può portare a nuove strategie terapeutiche che agevolino la ripresa di quei pazienti che sono portati in uno stato di coma artificiale per facilitare il recupero di danni al cervello.
La frase “ha un elettroencefalogramma piatto” è considerata sinonimo di assenza di attività cerebrale.Ora però uno studio effettuato all’Università di Montreal e pubblicato su PLoS ONE  ha dimostrato che questo non è sempre vero. Florin Amzica e colleghi hanno scoperto che in caso di elettroencefalogramma piatto è possibile che siano presenti segnali, che i ricercatori hanno chiamato complessi ν (o complessi Nu), generati a livello della formazione ippocampale.
Amzica, che ha diretto lo studio, ha sottolineato che questa scoperta non mette a rischio la validità degli attuali criteri per stabilire la morte di una persona, basati appunto sull’elettroencefalogramma:
“Le persone che hanno deciso di ‘staccare la spina‘ a un parente in stato di morte cerebrale non devono preoccuparsi o dubitare del proprio medico. Gli attuali criteri per la diagnosi di morte cerebrale sono estremamente rigorosi e prevedono nel caso di incidenti, ictus e simili anche la prova di un danno cerebrale strutturale irreversibile”.
Figura.  l'attività corticle neuronale ippocampale durante lo stato νC.
A ) neocorticale neurone piramidale dalla zona suprasylvian 5 (sopra) e registrato simultaneamente piramidali CA3 neurone dell'ippocampo riempito di Lucifer Yellow e ricostruito con microscopia confocale. Loro rispettive posizioni sono schematicamente indicati su una sezione coronale Nissl-tinto del cervello. ( B ) Dall'alto in basso: registrazione simultanea di EEG, intracellulare neurone corticale (verde), intracellulare dei neuroni dell'ippocampo (blu) e adiacente potenziale campo ippocampale (FP).Entrambe le tracce dell'ippocampo indicano la presenza di due tipi di attività: delta increspature a circa 1 Hz (piccole ampiezza potenziali positivi nella FP, accompagnati da raffiche di potenziali d'azione nella vicina neurone), e un νC (ampiezza alta spinoso potenziale multifasico nel FP, che è accompagnato da scariche neuronali). Visualizza l'EEG una linea isoelettrica continuo durante increspature dell'ippocampo, ma visualizza la νC durante il quale i neuroni corticali scarichi raffiche di potenziali d'azione. Delta increspature non sono espressi nella neocorteccia. ( C ) rapporto di tempo tra scariche neuronali per eventi νC indicano che gli scarichi dell'ippocampo costantemente precedono quelli neocorticali.
doi: 10.1371/journal.pone.0075257.g004
L’interesse principale della scoperta, ha proseguito il ricercatore, riguarda il suo potenziale terapeutico di neuroprotezione. Dopo un trauma, alcuni pazienti sono in condizioni così gravi che sono portati deliberatamente dai medici in uno stato di coma artificiale per facilitare il recupero di eventuali danni cerebrali.
Lo studio ha preso il via dall’osservazione che in un paziente in coma anossico profondo in cura con potenti farmaci antiepilettici l’elettroencefalogramma registrava impulsi che i medici non riuscivano a spiegare.
Per capire quale fosse l’origine di questi segnali i ricercatori hanno provocato in alcune cavie di laboratorio uno stato di coma profondo, ma reversibile, fino a quando non hanno ottenuto un elettroencefalogramma piatto, che è associato con l’assenza di attività della corteccia cerebrale, la parte del cervello che controlla tutte le facoltà mentali superiori.
Allo stesso tempo, i ricercatori hanno monitorato sia la corteccia sia le parti più profonde del cervello delle cavie grazie ad alcuni elettrodi. In questo modo Amzica e colleghi hanno osservato un’attività cerebrale sotto forma di oscillazioni generate nell’ippocampo, la parte del cervello responsabile della memoria e dei processi di apprendimento.
In alcune situazioni, queste oscillazioni, mai rilevate prima, potevano trasmettersi alla corteccia, producendo segnali uguali a quelli osservati nel paziente in coma anossico.
I ricercatori hanno anche scoperto che “l’ippocampo può inviare ordini al comandante in capo del cervello, la corteccia”, un dato di estremo interesse che può portare a strategie terapeutiche di grande beneficio per i pazienti.
“Sappiamo che un organo o un muscolo che rimane inattivo per lungo tempo alla fine si atrofizza. E’ plausibile che lo stesso valga per un cervello tenuto a lungo in uno stato corrispondente a un elettroencefalogramma piatto. Un cervello inattivo che esce da un coma prolungato può essere in condizioni peggiori di un cervello che, grazie ai complessi ν ha avuto un minimo di attività.”

giovedì 12 settembre 2013

Antichità giudaiche, Guerra giudaica

Antichità giudaiche, Guerra giudaica e Contro Apione 

di Giuseppe Flavio in inglese si scaricano da:

Se mi dicessero che il falso profeta egizio di cui qui si tratta era Gesù non me ne stupirei  minimamente. Mi stupirei al contrario se non lo fosse, perché è ben difficile che possano esistere a così breve distanza di tempo e nello stesso luogo due individui così simili fra loro. Il falso profeta, come Gesù, veniva dall’Egitto, era a capo di gente armata, voleva farsi re di Gerusalemme, si attestò sul monte degli ulivi, fu contrastato non solo dai Romani ma anche dall’intero popolo ebreo, i suoi furono uccisi e i superstiti costretti a disperdersi.
Ma c’è di più. A rafforzare il mio sospetto sull’identificazione di questo ciarlatano ribelle a Roma –  scampato alla morte sulla croce a Gerusalemme  – col Gesù dei vangeli, c’è proprio un passo degli Atti degli apostoli che conferma quello della Guerra giudaica e getta al contempo una luce sinistra sul vero capostipite  dei cristiani, sulla sua effettiva cronologia e sulla figura dello stesso Paolo, strettamente legato  (mentre vorrebbe presentarsi come cristiano dell’ultima ora) al cristianesimo sovversivo –  una replica del  Pietro rinnegatore –   fin dal suo sorgere. Dice il tribuno romano a Paolo « …non sei quell’Egiziano che in questi ultimi tempi ha sobillato e condotto nel deserto i quattromila ribelli? »  (21, 38) Paolo nega. Ma intanto per precauzione i ribelli seguaci di quello che io sospetto essere Gesù da 30.000 passano a 4.000. Ma forse qui siamo al momento in cui l'Egiziano,  scappato a Felice,  s'è rifugiato nel deserto a Qumran. Q Ma forse qui siamo al momento in cui l'Egiziano,  scappato a Felice,  s'è rifugiato nel deserto a Qumran. Questo dialogo fra Paolo e il tribuno avviene, badate bene, a Gerusalemme, dopo che Paolo è caduto nel tranello tesogli  dai suoi confratelli gerosolimitani che lo hanno consegnato ai romani. Lo abbiamo detto e ridetto che fra Paolo dei gentili e i gerosolimitani di Pietro di Pietro di Pietro di Pietro e Giacomo il giusto fratello di Gesù,  che continuavano a predicare esclusivamente  agli ebrei c’era tensione. Paolo viene portato a Cesarea presso il governatore Felice, fa appello all’imperatore  Nerone dichiarandosi cittadino romano,  viene inviato perciò da Festo, il governatore succeduto a Felice, a Roma. Con questo primo soggiorno a Roma di Paolo si chiudono gli Atti degli apostoli.

Se accogliessimo questa versione della vita di Gesù falso profeta egizio (e Gesù puo’ essere stato definito egizio perché è stato in Egitto e dall’Egitto è entrato in Palestina), ci spiegheremmo meglio non solo il tono violento dei vangeli appena mascherato dalle fregnacce buonistiche prese in prestito  dagli esseni, che pure erano dei ribelli a Roma, ma soprattutto si spiegherebbe la immediatezza fra il fallimento dell’impresa del falso profeta e la dispersione dei suoi seguaci in tutto l’impero romano e di Pietro e Paolo a Roma che viene data alle fiamme al posto di Gerusalemme. Francamente non si vede come gli Atti degli apostoli, le lettere e altro, possano riempire il buco di  un trentennio – un’intera generazione –  fra  la presunta  morte di Gesù in croce a Gerusalemme sotto Tiberio e l’arrivo a Roma  e la morte di Pietro e Paolo sotto Nerone, cioè la data di nascita vera e propria del cristianesimo.

Sbarazziamoci qui una volta per tutte delle pseudo testimonianze extracristiane della vita di Gesù. Queste si riducono al solo Giuseppe Flavio (37-primi del II sec. d. C. ) e si trovano in Antichità giudaica XVIII, III, 3, chiamato anche testimonium flavianum:
Ci fu verso questo tempo Gesù, uomo saggio, se pure bisogna chiamarlo uomo: era infatti autore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità, ed attirò a sé molti Giudei, e anche molti dei greci. Questi era il Cristo. E quando Pilato, per denunzia degli uomini notabili fra noi, lo punì di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già annunziato i divini profeti queste e migliaia d’altre meraviglie riguardo a lui. Ancor oggi non è venuta meno la tribù di quelli che, da costui, sono chiamati Cristiani.
e XX,  IX, 1, detto anche l'altro testimonium flavianum:
Anano […] convocò il sinedrio a giudizio e vi condusse il fratello di Gesù, detto  Cristo (detto Messia), di nome Giacomo, e alcuni altri, accusandoli di trasgressione della legge e condannandoli alla lapidazione.

Giuseppe Flavio  era ebreo della casta sacerdotale e mai s’è fatto o dichiarato convertito al cristianesimo, e ciò ci è confermato da fonte cristiana, perché Origene, III secolo, commentando proprio l'Antichità giudaica, attribuisce a Giuseppe l’affermazione  che Gerusalemme fu distrutta per castigo divino in punizione del martirio dell’apostolo Giacomo, aggiungendo: « E la cosa sorprendente è che egli, pur non ammettendo il nostro Gesù essere il Cristo, ciò nondimeno rese a Giacomo attestazione di tanta giustizia  »  (Commento a Matteo, X,17).  Nel Contro Celso, I, 47, riprende il medesimo concetto, facendo  rilevare come Giuseppe dica queste cose « sebbene non credente in Gesù come il Cristo ». Ne deduciamo una cosa sola, e cioè che al tempo di Origene il testo flaviano ancora non era stato manipolato dai cristiani. Fu probabilmente Origene con questa sua affermazione a far sorgere in uno dei tanti idioti zelatori del cristianesimo  la brillante idea di  fare il miracolo, rendere Giuseppe Flavio un  credente cristiano.


Riporto integralmente, in inglese, il passo di Origene dal Commento a Matteo:
da
17. THE BRETHREN OF JESUS.
And the saying, "Whence hath this man this wisdom," indicates clearly that there was a great and surpassing wisdom in the words of Jesus worthy of the saying, lo, a greater than Solomon is here." And He was wont to do greater miracles than those wrought through Elijah and Elisha, and at a still earlier date through Moses and Joshua the son of Nun. And they spoke, wondering, (not knowing that He was the son of a virgin, or not believing it even if it was told to them, but supposing that He was the son of Joseph the carpenter,) "is not this the carpenter's son?" And depreciating the whole of what appeared to be His nearest kindred, they said, "Is not His mother called Mary? And His brethren, James and Joseph and Simon and Judas? And His sisters, are they not all with us?"
They thought, then, that He was the son of Joseph and Mary. But some say, basing it on a tradition in the Gospel according to Peter, as it is entitled, or "The Book of James," that the brethren of Jesus were sons of Joseph by a former wife, whom he married before Mary. Now those who say so wish to preserve the honour of Mary in virginity to the end, so that that body of hers which was appointed to minister to the Word which said, "The Holy Ghost shall come upon thee, and the power of the Most High shall overshadow thee," might not know intercourse with a man after that the Holy Ghost came into her and the power from on high overshadowed her. And I think it in harmony with reason that Jesus was the first-fruit among men of the purity which consists in chastity, and Mary among women; for it were not pious to ascribe to any other than to her the first-fruit of virginity. And James is he whom Paul says in the Epistle to the Galatians that he saw, "But other of the Apostles saw I none, save James the Lord's brother." And to so great a reputation among the people for righteousness did this James rise, that Flavius Josephus, who wrote the "Antiquities of the Jews" in twenty books, when wishing to exhibit the cause why the people suffered so great misfortunes that even the temple was razed to the ground, said, that these things happened to them in accordance with the wrath of God in consequence of the things which they had dared to do against James the brother of Jesus who is called Christ. And the wonderful thing is, that, though he did not accept Jesus as Christ, he yet gave testimony that the righteousness of James was so great; and he says that the people thought that they had suffered these things because of James. And Jude, who wrote a letter of few lines, it is true, but filled with the healthful words of heavenly grace, said in the preface, "Jude, the servant of Jesus Christ and the brother of James." With regard to Joseph and Simon we have nothing to tell; but the saying, "And His sisters are they not all with us." seems to me to signify something of this nature--they mind our things, not those of Jesus, and have no unusual portion of surpassing wisdom as Jesus has. And perhaps by these things is indicated a new doubt concerning Him, that Jesus was not a man but something diviner, inasmuch as
He was, as they supposed, the son of Joseph and Mary, and the brother of four, and of the others--the women--as well, and yet had nothing like to any one of His kindred, and had not from education and teaching come to such a height of wisdom and power. For they also say elsewhere, "How knoweth this man letters having never learned?" which is similar to what is here said. Only, though they say these things and are so perplexed and astonished, they did not believe, but were offended in Him; as if they had been mastered in the eyes of their mind by the powers which, in the time of the passion, He was about to lead in triumph on the cross.

Ma attenzione!
 Origene dice nel passo in inglese rimarcato in giallo: « in conseguenza delle cose che essi avevano osato fare contro Giacomo il fratello di Gesù chiamato il Cristo » Dunque, come abbiamo suggerito, fu questo... suggerimento (che è chiamato Cristo) ad essere inserito pari pari in qualità di testimonium flavianum 2 che in realtà fu il primo ad essere manipolato dai cristiani. Una delle argomentazioni dei sostenitori dell'autenticità dei due testimonia parte proprio da questo testimonium 2. Secondo costoro Giuseppe Flavio non avrebbe avuto alcun motivo per parlare di punto in bianco di Gesù il Cristo a commento di Giacomo se non ne avesse parlato già abbondantemente in un altro passo precedente. Ecco perché, colta l'argomentazione al balzo, i cristiani provvidero, in un'era in cui comandavano loro, a inserire anche il testimonium flavianum 1. La verità è che  Gesù non se l’è mai filato nessuno dei contemporanei, nemmeno Giuseppe Flavio che ne parla –  del falso profeta egizio,  perché ha messo in pericolo la stessa Gerusalemme e la sua casta sacerdotale ebrea –  senza conoscerne il nome e senza sapere che  diventerà il capostipite materiale, guerriero, dei cristiani. E’ passato come un’ombra nefasta in mezzo alla storia e di lui oggi nulla sappiamo (a meno che la mia ricerca  non trovi uno spunto per continuare).  Questo falso profeta egizio, il vero padre del cristianesimo, non piaceva ai violenti cristiani,  distruttori della civiltà per sostituirle il vuoto del caos, del nulla, perché era troppo... violento. Loro avevano bisogno di mascherarlo da Buon Pastore, con l'agnellino in mano, come il capo della Spectre, che pianifica stragi mentre... accarezza un gatto. Questo falso profeta egizio toglieva il sonno ai suoi seguaci. 

Era lì, scritto nero su bianco nella Guerra giudaica e nelle Antichità giudaiche che circolavano (la prima anche in aramaico, la lingua madre degli ebrei e perciò di   Giuseppe Flavio) in greco, la lingua della parte orientale dell’impero romano. Tutti  capivano, come l’ho capito io al primo colpo, che il falso profeta egizio era il capostipite dei cristiani. Ma come espungere il passo relativo da opere che circolavano da tempo e in cui sarebbe stata subito evidente dal confronto fra le copie originali e quelle manomesse l'assenza nelle prime? Bisognava cercare di deviare l’attenzione dal falso profeta egizio (ma notare che Paolo, che aveva proprio nei seguaci fondamentalisti del falso profeta egizio i suoi avversari con la puzza al naso e che alla fine lo tradiranno, è proprio lui negli Atti degli Apostoli a darci l’aggancio al falso profeta egizio sul quale altrimenti mai e poi mai avremmo concentrato la nostra attenzione!) e inserire totalmente   due  passi,  due testimonia flaviani, nello stesso Giuseppe Flavio laddove se ne presentasse l’opportunità. Questa opportunità si presentava non nella Guerra giudaica, che si occupava del tempo di Gesù reale, a ridosso e fino alla distruzione di Gerusalemme e alla caduta di Masada, bensì nelle Antichità giudaiche dove nella miriade di Gesù e di rivoltosi che si incontrano assai prima di Nerone era possibile trovarne uno che facesse al caso, manipolando il testo o inserendolo pari pari in un luogo adatto alle circostanze. 

A costituire la figura di Gesù  è servito, oltre al falso profeta egizio, e molto subordinatamente, anche un contemporaneo profeta di sciagure di nome… Gesù, figlio di Anania, un rozzo contadino  che, come scrive  Giuseppe Flavio nella Guerra giudaica, quattro anni prima che scoppiasse la guerra, durante la festa dei tabernacoli, « all’improvviso cominciò a gridare nel tempio: " Una voce da oriente, una voce da occidente, una voce dai quattro venti, una voce contro Gerusalemme e il tempio, una voce contro sposi e spose, una voce contro il popolo intero! " …  Allora i capi… lo trascinarono dinanzi al governatore romano. Quivi, sebbene fosse flagellato fino a mettere allo scoperto le ossa… a ogni battitura rispondeva: " Povera Gerusalemme! " … finché Albino [il governatore] sentenziò che si trattava di pazzia e lo lasciò andare… Per sette anni e cinque mesi lo andò ripetendo… e smise solo all’inizio dell’assedio, quando ormai vedeva avverarsi il suo triste presagio. Infatti un giorno che andava in giro sulle mura gridando a piena gola… una pietra scagliata da un lanciamissili lo colpì uccidendolo all’istante, ed egli spirò ripetendo ancora quelle parole. »  (VI, 5, 3)

Segue ora la mia ricerca successiva alla pubblicazione della Cronaca, ora diventata la quarta parte  della quadrilogia sul Nuovo Testamento, e devo preannunciare che a colpo di scena è seguito colpo di scena, in poche settimane, fino ai risultati che espongo qui.

Narrerò qui la storia del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. 
Il Padre: il movimento zelota fondato da  Ezechia e guidato da Giuda di Gamala detto il galileo, suo figlio.

Il Figlio: il messianismo  o millenarismo incarnato idealmente in Giovanni, primogenito di Giuda il galileo e aspirante al trono di Gerusalemme come Messia cioè Re dei Giudei, morto nel 30 d. C. senza mai raggiungere lo scopo. 

Lo Spirito Santo: un ignoto impostore che rievocava le gesta di Giosuè/Gesù, che forse era stato in Egitto, detto comnque l'egizio, che forse si chiamava o era soprannominato Beniamino, che forse scampò alla massima pena o più probabilmente fu crocifisso nel 60 d. C. Costui diede il via con la sua impresa fallimentare e fallita alla disperazione rivoluzionaria ebraica zelota fino alla definitiva catastrofe dell'annessione a Roma della Palestina sotto Tito e Domiziano. Fu veramente crocifisso? Certamente la Palestina lo fu sotto i Romani con la definitiva distruzione del Tempio che ancora non è stato e, credo, non sarà mai più ricostruito. Forse non sbaglio ad affermare che è colpa dei cristiani se oggi stiamo ancora qui a parlare di ebrei e di ebraismo, perché i Romani ne avevano fatto terra bruciata. In ogni caso i cristiani non avrebbero potuto e non hanno di fatto resuscitato il popolo e la religione israelita che sono  morti, con tutte le loro attese escatologiche a Masada, duemila anni fa. 
Lo Spirito Santo è il Paracleto, e negli scritti evangelici, gli Atti degli apostoli,  viene dopo la morte di Gesù sulla croce, cioè dopo la morte del Figlio, cioè dopo la morte del nostro Giovanni primogenito di Giuda il galileo. 

Lo Spirito Santo, ovvero il Paracleto, ovvero Dioniso il Liberatore, ovvero l'elemento Violento e Caotico della Trinità, interviene come deus ex machina a risollevare le speranze della dinastia di Gamala dopo la morte di Giovanni e si chiama Falso profeta egizio, il quale sotto Nerone tenta l'audace impresa di prendere Gerusalemme occupata dai Romani. Fallisce e scappa e di lui si perdono le tracce e diventa impalpabile come lo Spirito Santo, che infatti facciamo difficoltà a comprendere mentre più agevole è comprendere un Padre e un Figlio.  E' il falso profeta egizio ad affidare gli zeloti  superstiti alla guida di Eleazaro di Masada. I Romani conquistano totalmente la Giudea e agli ebrei non resta che sperare nell'arrivo del Messia, mentre quelli che fra poco saranno chiamati  cristiani attendono il ritorno del Paracleto, il falso profeta egizio. Speranza vana, come quella di chi attende ancora il ritorno  di Artù o di Barbarossa. Secondo  me Gesù è stato inchiodato alla croce dai Romani, che facevano le cose per bene, nel 60 d. C. e dunque nessuno Spirito Santo, nessun Messia cristiano ritornerà mai dagli inferi dove è andato duemila anni fa. Amen. 
La mia ricerca è partita dunque seguendo le tracce del falso profeta egizio, e cercando su internet ho trovato un primo aggancio sul sito di Davide Donnini   che mi ha fortemente convinto della bontà della pista che seguivo, identificando Eleazar con... Lazzaro. Sì, avete capito bene, il Lazzaro fratello della donna di malaffare  Maria Maddalena  resuscitato a Betania. 



E' evidente che se Lazzaro/Eleazar ben Jair, figlio di Giairo, combatteva a Masada nel 70-73 d. C. non poteva essere tanto più giovane di Gesù crocifisso.
Eleazar figlio di Giairo è nominato a partire dallo stesso libro II  della Guerra giudaica in cui si parla del falso profeta egizio (II, 13, 5; io ho sotto gli occhi l’edizione curata da Giovanni Vitucci, Oscar Mondadori) anzi è nominato dopo il falso profeta egizio (II, 17, 9) ma sempre sotto Nerone e in un periodo di sedizioni giudaiche contro i romani. La Guerra giudaica dice che « A capo dei sicari che l’avevano occupata [Masada] c’era Eleazar [di Giairo], un uomo potente, discendente di quel Giuda che, come sopra abbiamo detto, aveva persuaso non pochi giudei a sottrarsi al censimento fatto a suo tempo da Quirinio nella Giudea. » (VII, 8, 1) A proposito di Giuda, di Gamala o galileo, dice: « Sotto di lui [Augusto] un galileo di nome Giuda spinse gli abitanti alla ribellione, colmandoli di ingiurie se avessero continuato a pagare il tributo ai romani e ad avere, oltre dio, padroni mortali. Questi era un dottore che fondò una sua setta particolare, e non aveva nulla in comune con gli altri. »   (II, 8, 1) Gli altri vengono subito dopo e sono i Farisei, i Sadducei e gli Esseni. Giuda il galileo va identificato con Giuda figlio del capobrigante zelota Ezechia   (II, 4, 1). A proposito di questa setta che non aveva nulla in comune con gli altri suggerisco che si trattasse di Samaritani che venivano confusi coi Giudei (Antichità giudaiche XX, 6, titolato: Come sorse  una lite fra Giudei e Samaritani, e come Claudio mise fine alle loro dispute) e dunque i Giudei/seguaci di Cresto cacciati da Roma da Claudio di cui parleremo fra non molto possono benissimo essere stati questi Samaritani.

Lascio la parola a Donnini:
Eleazar ben Jair
Durante la orribile guerra che insanguinò la Palestina, negli anni dal 66 al 70, indicibili catastrofi si abbatterono sugli ebrei. Gamla, nel Golan, che aveva dati i natali ai principali esponenti della lotta zelotica, fu assediata e distrutta e tutti i suoi abitanti morirono trucidati o suicidi essi stessi, gettandosi spontaneamente nel precipizio che affiancava la città. Nel 70 la stessa Gerusalemme, dopo un lunghissimo e tremendo assedio, cadde sotto il ferro e il fuoco delle legioni di Tito e il tempio fu profanato e saccheggiato. Un paio di anni prima, lo stesso monastero di Qumran, l'eremo nella simbolica "terra di Damasco" degli esseni, presso le rive nord occidentali del Mar Morto, fu distrutto dalle legioni di Vespasiano, durante la marcia da Gerico a Gerusalemme. Qualche tempo prima i confratelli, intuendo l'imminenza di questo pericolo, avevano nascosto le loro scritture nelle grotte sulle scarpate sovrastanti, nella speranza che, in un futuro mai giunto, essi potessero riappropriarsene. I più irriducibili membri della confraternita evitarono di disperdersi e, sfruttando una lacuna nell'organizzazione tattica dei romani, all'indomani della caduta di Gerusalemme, si impadronirono della fortezza di Masada, sempre sulla riva occidentale del Mar Morto, a sud di Qumran [vedi nel viaggio fotografico le numerose fotografie di Masada]. Furono un migliaio coloro che la abitarono per ben tre anni e la difesero a oltranza, sotto uno stretto assedio romano, prima di essere a loro volta sconfitti. Anche questa volta si ebbe un tipico esempio di martirio zelotico: tutti si dettero la morte, nell'imminenza dell'arrivo dei legionari, e costoro non trovarono che cadaveri ad attenderli.

Gli uomini di Masada erano guidati da un certo Eleazar ben Jair (Lazzaro, figlio di Giairo), un'autorità spirituale, nonché politica e militare, di cui Giuseppe Flavio ci dà alcune brevi notizie: era discendente di Giuda il galileo (il capo zelota che veniva da Gamala), parente di Menahem, il figlio di Giuda il galileo che era riuscito (unico nella dinastia degli aspiranti Messia di Israele) ad indossare la veste regale in Gerusalemme, nei giorni funesti dell'assedio romano, per un brevissimo periodo prima di essere ucciso. Se l'aspirante re dei Giudei che era stato crocifisso a Gerusalemme da Ponzio Pilato, nell'anno 30 o poco dopo, veniva da Gamala ed era il figlio primogenito dello stesso Giuda (come abbiamo visto nel capitolo "il problema del titolo Nazareno"), e aveva anticipato senza successo l'impresa che invece era riuscita, sebbene in modo effimero, al fratello minore Menahem, ne possiamo subito concludere che Eleazar ben Jair era anche parente del Cristo dei Vangeli.

Giuseppe Flavio ci ha trasmesso il discorso che questo Lazzaro avrebbe pronunciato a Masada, ai suoi seguaci, per convincerli che l'unica cosa da fare, di fronte alla prospettiva della sconfitta, era quella di togliersi la vita. Non credo che sia facile convincere un migliaio di persone a suicidarsi tutte insieme. Ma se la circostanza è quella che i romani stanno per arrampicarsi sulla montagna da cui non è possibile fuggire, se il capo ha un grande ascendente spirituale, com'è caratteristico di un autorevole maestro, e se i seguaci sono dei fanatici fedeli degli ideali religiosi esseno-zeloti, allora una cosa del genere può diventare possibile.
Il discorso ha l'aria di un sermone iniziatico degno di una disciplina orientale, né mancano espliciti riferimenti alla religiosità dell'oriente, con l'elogio degli indiani che accolgono la morte come una liberazione per l'anima: "...la morte, infatti, donando la libertà alle anime, fa sì che esse possano raggiungere quel luogo di purezza che è la loro sede propria, dove andranno esenti da ogni calamità, mente finché sono prigioniere di un corpo mortale, schiacciate sotto il peso dei suoi malanni, allora sì che esse son morte, se vogliamo dire il vero; infatti il divino mal s'adatta a coesistere col mortale... comunque, se volessimo ricevere una conferma attingendola dagli stranieri, guardiamo agli indiani, che seguono i dettami della filosofia... essi salgono su un rogo, perché l'anima si separi dal corpo nel massimo stato di purezza, e muoiono circondati da un coro di elogi..." (Giuseppe Flavio, Guerra Giudaica, VII, 8). Evidentemente non è così inverosimile pensare, come alcuni studiosi sostengono, che le idee della confraternita essena fossero influenzate da elementi di spiritualità indo-buddista, oltreché iranico-caldea.

Lazzaro dei Vangeli e Lazzaro di Masada
Quando abbiamo detto che la resurrezione di Lazzaro e quella della figlia di Giairo sono le due versioni parallele, una giovannea e l'altra sinottica, dell'iniziazione superiore ricevuta dal discepolo amato da Gesù, abbiamo detto che gli autori sinottici hanno operato alcuni cambiamenti, nei parametri statici dell'episodio, per mascherare le identità dei personaggi. Lazzaro ha cambiato età e sesso, è diventato una ragazza. Il cambiamento è abbastanza radicale da rendere assai difficile, se non impossibile, il riconoscimento della persona. Forse non è cambiato il nome del padre, ed è rimasto quello originale: Giairo. Se così è dobbiamo pensare che Lazzaro fosse figlio di un certo Giairo. Ovverosia che egli fosse... Eleazar ben Jair.

Ora, questa ipotesi non può certo essere dimostrata nel senso proprio del termine, ma a suo sostegno si possono elencare diverse somiglianze fra il Lazzaro del Vangelo e quello che fu la guida di Masada.
A - entrambi erano coinvolti nel movimento messianico. Infatti il Lazzaro dei Vangeli sarebbe stato fortemente censurato dagli autori sinottici, proprio perché l'impegno principale di costoro era quello di tenere Gesù e il suo intorno ben lontano da ogni coinvolgimento nella lotta messianica. Il Lazzaro di Masada... beh, la sua storia parla chiaro.
B - entrambi erano parenti di Gesù. Come abbiamo visto sopra.
C - entrambi erano figli di un certo Giairo.
D - entrambi erano depositari di una speciale iniziazione essena riguardante il senso della morte.  
Torneremo al sito di D. Donnini (da cui ho tratto la cartina sotto) in appendice a questo  lavoro  per tre argomenti interessanti che riguardano quanto ho scritto nei precedenti lavori sul Nuovo Testamento.  
Gamala o Gamla a oriente del lago di Tiberiade, patria di di Gesù e degli zeloti, e  Masada, ultima roccaorte della resistenza dei medesimi a occidente del Mar Morto.