sabato 25 aprile 2015

Marcello Madau. Amuleto di Nurdole: prodotto fenicio e con grafemi senza significato. Davvero davvero

Marcello Madau. Amuleto di Nurdole: prodotto fenicio e con grafemi senza significato. Davvero davvero?

di Gigi Sanna

Fig. 1 

Guardate cosa scrive polemicamente (1) Marcello Madau nel recente appello alla Giunta Regionale Sarda circa la proposta degli Istentales di presentare all' EXPO di Milano l'inno con la scritta nuragica contenente, tra l'altro, il nome della divinità sarda arcaica yhw(h): '' Non entro nel merito della questione della scrittura e lingua nuragica (quella utilizzata nella canzone è respinta dalla comunità scientifica sarda) né in tante cose che mi sembrano bizzarre come la presenza di Yahwheh nella religiosità nuragica, parole come shalom e del generale tono militaresco -patriottico ''.
Sulla assurda affermazione della voce shalom (e di altre voci ancora) come parola dal tono militaresco- patriottico(2) abbiamo già abbondantemente risposto in più luoghi anche se non sarebbe stato necessario perché fa parte della semplice conoscenza comune che il tipico saluto shalom degli orientali (attestato nella stele di Nora (3) ben cinque volte e rivolto alla divinità e al figlio di questa) significa tutto il contrario della guerra e cioè 'pace'.
Ora sarà bene - lasciando perdere 'pro bono pacis' le meschine insinuazioni sulla 'officina falsariorum' (4) - con la trattazione di un oggetto (indiscutibilmente genuino perché trovato da archeologi presso l'altare all'interno del Nuraghe Nurdole di Orani), replicare a quello che il professore dell' Accademia di Belle Arti di Sassari afferma a proposito dellabizzarra, a suo dire, presenza di YHWH nella scrittura e nella religiosità sarda.
Partiamo dalla incredibile didascalia, offerta dal suddetto, circa l'amuleto che recita quello che si può vedere dalla figura seguente:













Fig. 2 (da PHOINIKES B SRDN, I Fenici in Sardegna, 1997, parte terza,/ I materiali, p. 250)

Incredibile perché si dice


a) Che è un oggetto di cultura fenicia
b) Che porta sul retro grafemi senza significato


L'incredibile del punto 'a' naturalmente parte dall'affermazione del punto 'b' e viceversa l'incredibile del punto 'b' nasce dall'affermazione del punto 'a'. Insomma questa vera e propria castroneria (e quale mai termine si può usare se non questo o uno peggiore?), esito di uno studio (?) fatto superficialmente e in fretta; stupidaggine tanto più grave in quanto profferita da un accademico della 'comunità scientifica sarda' (di cui ci si vanta di far parte) nasce da un solo fatto: che purtroppo l'epigrafia e la paleografia sono lasciate spesso in Sardegna in balia di persone che, come si può vedere anche dalle poche righe dell'articolo succitato della Nuova Sardegna, non solo mostrano inaudita supponenza ma anche totale incompetenza. Ora, poiché ci sentiamo davvero tirati per i capelli nonché offesi da contestazioni ed insinuazioni di bassissimo profilo che niente hanno a che fare e con la scienza e con la ricerca scientifica, a denti stretti diciamo: chi proprio non sa e proprio non capisce è bene che non si erga a paladino e che taccia per non fare meschine quanto ridicole figure. Ma vediamo di dire perché non si sa, perchè non si vede e perchè non si capisce. E anche di dire dove sta il ridicolo.

Mostriamo ora in un disegno fedele (fig.3) ma con un certo ingrandimento e con alcuni segni evidenziati in rosso, le due facce del pendaglio (sic!) di Nurdole e vediamo così di elencare quello che noi vediamo e che il Madau non vede o che, pur vedendo, semplifica al massimo con il massimo della superficialità:

Fig. 3
FACCIA A:


1. Un disco (luminoso: soli -lunare)
2. Un motivo corniforme (due corna che abbracciano all'incirca sino alla metà il disco) con un 'segno' poco definito al centro ma con sicuro significato di 'serpente' .
3. Un motivo 'ornamentale' o decorativo a berretto al di sopra dei capelli.
4. Due segni di scrittura (da noi evidenziati in rosso) di cui uno pittografico dato dall'occhio o 'ayin' e uno lineare dato dal triangolo ovvero dalla consonante semitica 'dalet'




FACCIA B:


1. Un disco (luminoso come il precedente ma non abbracciato dalle corna)
2. Una colonnina 'fallica' disegnata in guisa di 'reggere' il suddetto disco.
3. Cinque minuscoli (6) segni di scrittura (evidenziati anch'essi in rosso) all'interno di essa, ovvero le consonanti alfabetiche 'ayin, nun, hê, yod, hê (reiterata quest'ultima come forma) delle quali le ultime due forse in agglutinamento.

Dall' esame puntuale di tutto l'oggettino emerge subito il dato macroscopico e cioè che le due facce dell'amuleto sono composte entrambe non solo da evidenti segni di scrittura lineare ma anche da pittogrammi e da ideogrammi e cioè da un mix scrittorio che è tipico del codice, continuamente e per tantissimo tempo (7), usato dagli scribi nuragici. Sono facce concepite per essere guardate, viste e 'lette' con particolare attenzione perché il significato complessivo di tutto l'oggetto si svelerà solo attraverso lo scioglimento del (solito) rebus.

Ovviamente i primi segni (disco, corna e viso), quelli più evidenti della faccia A, riportano, con ogni probabilità, l'immagine del dio lunare e solare Khonsu (8), cioè danno il suggerimento del cosiddetto 'egittizzante' ovvero del ricorso dello scriba sacerdote nuragico ad un motivo 'esterno' assai noto della religiosità egizia. Infatti, l 'iconografia del disco abbracciato dalla corna, la presenza probabile del serpente (il segno che abbiamo detto 'indefinito'), la capigliatura che forse suggerisce sul lato destro (sinistro di chi guarda) la caratteristica treccia del dio, la stessa grandezza delle orecchie ed infine il volto giovanile, portano a ritenere che quella sia proprio l'immagine (v. figg. 4 -5) del dio egiziano figlio di Amun Ra dio del Sole e quindi in qualche modo simbolo solare e lunare nello stesso tempo.



 Ma è anche nostra convinzione che la figura della divinità egizia, quella che sembra essere l'unica presente, per e con sincretismo religioso, venga riportata anche e soprattutto al fine di realizzare cripticamente dell'altro o meglio al fine di scrivere dell'altro che riguarda una seconda e più nota divinità locale venerata nel santuario di Nurdole di Orani e in tutta la Sardegna nuragica.
Ma per capirlo sarà bene, così come sempre abbiamo fatto per comprendere altri documenti (e come ancora faremo per diversi altri, tanti altri), ricorrere a tutto ciò che di noto e di appurato scientificamente (9) possediamo circa il repertorio dei segni e il modo di scrivere a rebus degli scribi nuragici. Sappiamo :


Che il disco o il cerchio in nuragico è simbolo della luce doppia (NR נר) solare e lunare, espressione massima dell'androgino YH יה
Che le corna taurine tendono a dare sempre la voce (10) 'ak/'ag (toro)
Che il serpente è simbolo di 'immortalità' עולם
Che il segno decorativo, 'ornamento' o 'cappello', ha sempre valore della consonante 'hê' (acrofonia di hdrhהדרה)
Che il 'segno' a colonnina o a menhir o a obelisco, attestato, tra l'altro, in un altro oggetto sardo 'egittizzante', con scrittura sia egiziana che nuragica (v. fig. 6) rinvenuto in una tomba di Monte Sirai (11), ha il significato di 'potenza' fallica, taurina (עז)

6. Che la scrittura pittografica e ideografica è riportata quasi sempre in mix con segni di natura 'lineare'

Fig. 6.

Circa l'ultimo punto aggiungiamo e precisiamo subito che i segni, da noi individuati (evidenziati con il rosso) sia nella faccia A e sia nella faccia B come consonanti semitiche, sono tutti ampiamente attestati e da tempo nella documentazione nuragica (v. fig. 7: alfabeto nuragico con i segni interessati cerchiati in rosso).


Quindi la lettura, oltre a quella egiziana di 'Khonsu luna -sole' (12) ovvero di Khonsu NL dovrà essere fatta in base ai seguenti segni, letti come sempre dall'alto verso il basso e per primi quelli della faccia A e poi quelli della faccia B.














Cioè Khonsu o il nl 'ak immortale (nhs) lui (hê) è il testimone ('d) del lodare ('nh) la forza ('oz: il fallo o betilo) della luce (nl) di yh.
Pertanto, se la lettura delle due facce, come ci sembra, è corretta e i segni sono quelli da noi individuati e proposti per essa (pittogrammi, ideogrammi, lettere lineari, agglutinamento) ciò vuol dire che l'amuleto con l'immagine del dio egizio testimonia anche (e soprattutto) l'essenza e l'immagine del dio yh o yhwh che dir si voglia. Una volta analizzati gli attributi dell'uno risultano precisi a quelli dell'altro. La raffigurazione e la 'scrittura' del dio egizio Khonsu è anche espressione e 'scrittura' del dio nuragico yhwh. Insomma, l'uno vale per l'altro. L'uno testimonia l'altro.
Ci troviamo, in fondo, di fronte allo stesso dato iconografico sincretistico dello scarabeo amuleto mortuario del sito archeologico di Monte Sirai; con la differenza o variante che nello scarabeo il sincretismo interessa la divinità solareAmun (13) e cioè il padre di Khonsu.
Crediamo a questo punto che non possa sfuggire nessuno il dato comparativo, fondamentale ai fini ermeneutici, che nel caso di Nurdole è raffigurato nella faccia B un betilino o simbolo fallico - taurino con la scritta riguardante la divinità yh e che nello scarabeo di Monte Sirai è ugualmente raffigurato un betilino o obelisco fallico -taurino con una scritta riguardante sempre la divinità nuragica yh. C'è la stessa simbologia e la stessa scrittura yhwhistica nuragica in entrambi gli oggetti. Ma a ben vedere l'identità degli oggetti risulta quasi totale se si considera che in entrambi la scrittura è bipartita, iniziandosi con quella relativa alla divinità egizia per chiudersi con quella nuragica. I due oggetti si richiamano a vicenda e, benché trovati in luoghi molto distanti l'uno dall'altro, possiamo affermare che si mostrano frutto formale e stilistico di una medesima scuola scribale nuragica.
Restano, naturalmente, da trattare i (pochi) dati linguistici che, ancora una volta, sono molto semplici perché si trovano agevolmente con l'ausilio di un qualsiasi vocabolario di semitico antico e, in particolare, nel lessico del VT(14).
Saltiamo la voce composta nl/nr 'ak, la voce hē e la stessa voce 'olam delle quali abbiamo parlato altre volte diffusamente nel presentare i documenti nuragici (15) e soffermiamoci invece sulle parole 'd עד (testimone) e 'nh ענה(lodare, celebrare) che troviamo invece, per la prima volta, nella documentazione semitica nuragica.
La prima si trova in VT come riferita sia a persone che a cose: Dio (Gb, 16, 19) , uomo (Ger 32,10; Es 20, 16); 'mucchio di pietre' o 'altare' (Gn 31, 48; Gs 22,27).
La seconda ha riscontro, sempre nel VT, in Sal 119, 172, in Is 27, 2.




Conclusioni con qualche domandina.


Per il tutto esposto sopra sarà bene che il fenicio se lo scordi non solo il Madau ma lo dimentichino anche quelli della cosiddetta 'comunità scientifica che approva'. E il più presto possibile. Perché non solo questo chiaro documento, ma anche la stele di Nora è nuragica e non fenicia, anche l'amuleto di Nurdole di Orani è nuragico e non fenicio, anche i cocci di Orani sono nuragici e non fenici, anche il piombetto sigillo di Sant'Antioco è nuragico e non fenicio, anche il frammento di stele di Nora è nuragico e non fenicio, anche lo scarabeo del Nuraghe Sant'Imbenia di Alghero è nuragico e non fenicio, anche la barchetta di Teti è nuragica e non fenicia, anche l'anfora di S'arcu 'e is Forros è nuragica e non fenicio - filistea, anche il busto di divinità (pubblicato dal Barreca) è nuragico e non fenicio, anche la pietra di Aidomaggiore è nuragica e non fenicia, anche la scritta dell'architrave del Nuraghe Aiga di Abbasanta è nuragica e non fenicia, anche la scritta del coccio del Nuraghe Alvu di Pozzomaggiore è nuragica e non fenicia, anche la scritta della capanna di Perdu Pes è nuragica e non fenicia, anche la scritta della pietra di Terralba è nuragica e non fenicia, anche le diverse scritte, riportate dallo studioso Pietro Lutzu agli inizi del Novecento, sono nuragiche e non fenicie; e così via, procedendo per decine e decine di documenti. Tutti nuragici, autentici, autenticissimi. Nessun falso, proprio nessuno, nonostante la sciocca tiritera e la psicosi creata meschinamente in questi ultimi anni ad arte per il falso, per il 'tutto falso'. Per centinaia di oggetti falsi, tutti falsi a motivo del pullulare di decine e decine di laboratori di falsari sempre attivissimi e sparsi in tutta la Sardegna!
Detto ciò ci sembra che si debba fare qualche semplice domanda a tutti coloro che ci leggono e ci ascoltano. Sembra mai possibile che un oggetto, per altro di notevole precisione compositiva, possa riportare il volto del dioKhonsu con quegli occhi di cui uno è triangolare? Perché triangolare? Forse che l'iconografia di Khonsu, assai consistente tra l'altro, riporta degli occhi triangolari? L'occhio sinistro triangolare? Sembra mai possibile che uno studioso proceda con tale disinvoltura e non si chieda il perché di quella strana anomalia? Di quella vera e propria macroscopica bizzarria? E che non la denunci? Che non denunci al mondo degli egittologi un Khonsu inedito e ancor più 'mostruoso' del solito? Naturalmente pronti a ricrederci se così non fosse. Anche se il dato inedito nulla cambierebbe ai fini ermeneutici circa la voce resa dai singoli 'strani' grafemi 'significanti'
Ma passi pure l'incredibile svista, se svista c'è stata. Sono la paleografia e l'epigrafia mandate allo sbaraglio il dato sconcertante e l'aspetto davvero inquietante di quella pubblicazione. Infatti, ci chiediamo: come si fa ad affermare e a sostenere che nella faccia B, nel (manifesto) betilino, si trovano grafemi segni senza significato? E lasciamo perdere i 'pittogrammi' del supporto, lasciamo perdere il segno a 'V' per indicare l'ayin di ispirazione protocananaica, rara ma attestata oggi anche in documenti siro - palestinesi (16); lasciamo perdere il trattino orizzontale, attestatissimo invece nella scrittura nuragica (che non si vuole proprio guardare e considerare), come mostra la stessa barchetta di Teti. Lasciamo perdere tutto ciò. Ma come si fa a sproloquiare e a parlare di grafemi senza significato per le lettere nun eyod, lettere che si trovano in tutti, anche i più semplici, repertori con scrittura di tipologia cosiddetta 'protocananaica'? Quando si commenta un oggetto scritto (e che significa mai la parola 'grafema'?) c'è veramente consapevolezza, vera 'scienza' della 'comunità' o c'è solo faciloneria e pressapochismo individuali espressi al massimo grado?
Ora, come si è visto, l'esimio professore osa, dall'alto di non so quale scranno, parlare di bizzarrie per la presenza di YHWH e per 'tanto' altro ancora. Davvero sono bizzarrie e tante le nostre quando è il suddetto professore di Belle Arti che le mostra e tantissime, come quello che, pur avendo davanti agli occhi nel 'suo' documento la voce 'YH' ovvero YHWH, non è in grado di riconoscerla? Che parla di lingua e scrittura nuragica 'respinte' dalla 'comunità scientifica sarda' quando proprio quella scrittura e quella lingua ha sotto il naso e non ne avverte minimamente la presenza? Quando si dà il caso che proprio lui, se provvisto di capacità di giudizio e forte di un minimo di preparazione, dovrebbe essere il primo a difendere 'scientificamente' e quel lessico e quel codice di scrittura?
Cos'è allora che si deve respingere, esimio professore di Belle Arti? Cosa dovrebbe veramente respingere 'la comunità scientifica'? L'ignoranza e la supponenza, entrambe insopportabili, o un bellissimo ed importantissimo documento nuragico del Nuraghe Nurdole a rebus, con evidentissimo sincretismo religioso sardo -egizio, che denuncia, insieme ai tantissimi altri che si sono citati di sopra, tutta quella ignoranza (tragicomica ignoranza), e tutta quella assurda supponenza? Davvero, davvero lei è autorizzato a parlare anche a nome di altri e a fare addirittura appelli a nome della 'comunità' scientifica? E ricorrendo ancora (17) a delle insinuazioni? Ma come si permette!


                          
Note ed indicazioni bibliografiche

1. La Nuova Sardegna del 24 febbraio 2015. La polemica. La Sardegna all'EXPO. M. Madau. Davvero siamo figli dei'tori della luce'? Esso fa seguito all'articolo del 11 Febbraio del giornalista Luciano Piras della Nuova Sardegna dal titolo Gli Istentales all'EXPO cantano in nuragico. Monte 'e Prama sarà la colonna sonora della Sardegna. Un inedito in lingua arcaica dedicato ai Giganti di Cabras. Al Madau, sempre nello stesso giornale. replica il 25 febbraio il cantante Gigi Sanna degli Istentales con l'articolo intitolato 'Porteremo all' EXPO i segni dell'Identità'
2. Madau, 2015, Davvero siamo figli, ecc. cit.
3. Sanna G., La stele di Nora. Il Dio, il Dono, il Santo. The God, the Gift, the Saint (trad. in lingua inglese di Aba Losi), PTM ed. Mogoro, cap. 3.5 pp. 113 -115.
4. Madau, 2015, Davvero siamo figli, ecc. cit.
5. L'amuleto, in faӳence, è di dimensioni molto piccole (h. cm 2,1). Da ciò si capisce quanto piccoli sino anche i segni alfabetici in essa contenuti. Ma la precisione e la chiarezza di essi di essi in tutto l'oggetto confermano la solita grande capacità manuale degli scribi nuragici nel saper organizzare e scrivere non pochi segni e talvolta numerosissimi in spazi o campi scrittori di pochissimi centimetri. Si vedano a tal proposito, oltre ai quattro notissimi sigilli cerimoniali di Tzricotu di Cabras, l'anello di Pallosu di San Vero Milis (Sanna G., Sardōa grammata. 'g 'ab sa'an yhwh Il dio unico del popolo nuragico, S'Alvure ed. Oristano, 6.10, pp. 293 -298), il coccio con scrittura cuneiforme di tipologia ugaritica e protocananaica di Sa serra 'e sa Fruca di Mogoro (Sanna G., 2011, Yhwh e la scrittura nuragica: il log e il recipiente biblico del rito dei Leviti per la purificazione; in gianfrancopintore blogspot.com (25 novembre).
6. I minuscoli segni (v. nota precedente), disposti verticalmente, richiamano perfettamente quelli dell'obelisco dello scarabeo della tomba di Monte Sirai. V. Atropa Belladonna (Aba Losi) 2013, Gli scarabei sigillo della Sardegna e la scrittura segreta del Dio nascosto, in monteprama blogspot.com (ottobre 2013).
7. Il codice, con ogni probabilità, prese le mosse prima del XVI secolo a.C. e durò, senza soluzione di continuità, sino all'età imperiale romana. Alcuni ritrovamenti (un documento nuragico dell'Antiquarium arborense di Oristano, ritenuto erroneamente scritto in ebraico, è datato dagli archeologi al II -III secolo d.C.!) fanno ipotizzare un abbandono lentissimo del codice, in quanto esso rimase ancora vivo per usi soprattutto funerari.
8. Khonsu, dio egizio, faceva parte della famosa triade tebana. Era figlio di Amun, dio del sole e di Mut. V. Tosi M., 2004, Dizionario enciclopedico delle divinità dell'antico Egitto - Ananke, Torino. Come si vedrà più avanti il dio luminoso egizio è paragonato al nuragico YHWH. Ciò è molto importante perché, con ogni probabilità, alcune delle qualità certe di Khonsu (l'essere donatore di vita, taumaturgo, dio oracolare, dio della verità e della giustizia, psicopompo) tendono ad illuminare quelle di YHWH, divinità cananaica e non ancora israelitica. Le qualità luminose di Amun Ra, ovvero del padre Sole, ovviamente sono anche quelle del figlio.
9. I dati scientifici sui 'segni' della scrittura nuragica sono inoppugnabili in quanto essi nascono dal confronto e da riscontri continui tra i 250 documenti sinora rinvenuti e riconosciuti in Sardegna. Si consideri inoltre che il confronto, soprattutto per quanto riguarda il codice e la tipologia di scrittura cosiddetta 'protocananaica', si estende anche a non pochi documenti rinvenuti in Siria -Palestina. Strumento indispensabile per orientarsi sul sistema complesso e a rebus ideato e sempre mantenuto dagli scribi nuragici è la cosiddetta Griglia di Sassari da noi realizzata e comunicata durante il Convegno di Studi del 2011 nella Facoltà di Medicina dell'Ateneo Turritano (Interpretare i linguaggi della mente. Percorsi tra neuroscienze cognitive, paleoneurologia, paleogenetica, epigrafia e archeologia). Detta comunicazione si trova oggi (in sintesi) in Monti Prama, Rivista semestrale di cultura di Quaderni Oristanesi: Sanna G. 2011, Scrittura nuragica: ecco il sistema. Forse unico nella storia della scrittura, PTM ed. Mogoro, pp. 25 - 38.
10. Sanna G, 2004, Sardōa grammata, cit., passim. In part. 14, pp. 555 – 558. Dal 2004 però sono venuti alla luce altri documenti attestanti, anche con maggior chiarezza, la presenza della voce di matrice indoeuropea e non semitica. Si vedano a tal proposito in particolare la barchetta fittile di Teti, la pietra di Terralba e il coccio del Nuraghe Alvu di Pozzomaggiore (v. Sanna G. 2009, Buon Natale da Teti: NuR Hē ’AK Hē ’ABa Hē; in gianfrancopintore blogspot.com (17 dicembre); oggi in monteprama blog (9 dicembre 2013); idem, 2012, Ed ecco finalmente la parola "Nuraghe". In una scritta a Terralba; in gianfrancopintore blogspot.com

(4 luglio); idem, 2010, Il documento in ceramica di Pozzomaggiore; in Melis L, Genesi degli Urjm, pp. 153 -168.

11.M. Guirguis, S. Enzo, G. Piga, (2009), Scarabei dalla necropoli fenicia e punica di Monte Sirai. Studio crono-tipologico e archeometrico dei reperti rinvenuti tra il 2005 e il 2007, in Sardinia, Corsica et Baleares Antiquae, 7, pp. 101-116; Atropa Belladonna (Aba Losi) 2013, Gli scarabei sigillo della Sardegna, cit.
12. Khonsu è considerato comunemente dio della luna. Ma risulta evidente, come si è detto sopra, che essendo egli figlio del Sole Amun RA goda anche delle prerogative che sono proprie del padre.
13.V. ancora Atropa Belladonna (Aba Losi) 2013, Gli scarabei sigillo dellaSardegna, cit.
14. Ciò è dovuto al fatto che la scrittura e la lingua nuragica registrano il dato di un testo religioso redatto in lingua colta semitica anteriore a quello fatto proprio e poi 'purgato' e/o interpolato dagli israeliti. Infatti, nel V.T. scompaiono o tendono a scomparire le caratterizzazioni marcatamente sessuali del dio (fallo e vulva) e cioè l' androginia, quelle astrali (sole -luna), quelle zoomorfe (toro, uccello, serpente), quelle di una divinità oracolare, ecc.
15. Per quest'ultima si vedano, ad esempio, Sanna G, 2012, Croci o svastiche?Filistei o Nuragici? Una brocchetta nuragica per chiudere definitivamente ildiscorso (parte III); in monteprama blogspot.com (7 dicembre); Sanna G., Desogus C., Scalas R. 2014, Buon Natale da Selargius. Cos'è la cosiddetta Tanit? Lospiega un coccio-tavoletta nuragica di 'Su Pranu'; in monteprama blogspot.com (21 dicembre).
16. Sanna G., 2010, Una freccia quasi ŠaRDaN? O addirittura ŠaRDaN? ; in gianfrancopintore blogspot. com (30 giugno).

17. Circa la recidività e le assurde insinuazioni sui falsi e i 'nuovi' falsari del Madau si veda La nuova Sardegna del 29 aprile 2013: Lingua ecultura, l'identità tradita dai nuovi falsari. Dalla scrittura nuragica al mito di Atlantide. L'archeologia diventa un campo a rischio.


domenica 19 aprile 2015

ALTRO CHE LASTRINA OSSEA FENICIO PUNICA CON DIVINITA' , E' SCRITTURA NURAGICA CON DIVINITA' -YHWH-

A Sa Defenza e blog assocciati, Sentiamo il dovere e l'onere di prendere a ripubblicare articoli tratti dal blog Monteprama, a onore del vero e contro l'imbecillità e volgarità dilagante di certo Untore, che semina demenza e idiozie d'altri tempi pel Web; con la speranza che Monteprama continui e non smetta di pubblicare articoli con quella freschezza d'analisi conosciuta sull'archeo e linguistica sarda, sconosciuta alla maggioranza parte dei ricercatori...

F. Barreca: lastrina ossea con divinità fenicio - punica. No, con divinità (yhwh) e scritta nuragica.
di Gigi Sanna
monteprama

Fig.1

Ferruccio Barreca a p. 58 del suo noto ' La civiltà fenicio -punica in Sardegna' (1) così scrive nella didascalia che accompagna il singolare oggetto trovato nel sacello del mastio di Monte Sirai (2): ' Lastrina in osso rappresentante busto di persona divina maschile'.

La lastrina oggi esposta al Museo Nazionale della Civiltà fenicio -punica in Roma, in realtà, come vedremo fra poco, non è un prodotto della civiltà fenicio -punica ma della civiltà nuragica.
Lo studioso romano, già sovrintendente ai beni archeologici della provincia di Cagliari ed Oristano, negli anni Ottanta del secolo scorso naturalmente niente sapeva dei 'segni' della scrittura nuragica, quelli che oggi ci sono familiari e men che meno sapeva dell'esistenza di un sistema di scrittura di carattere religioso basato prevalentemente sulla crittografia e sul rebus. Quindi nell'esame della figura il Barreca deve essere rimasto molto perplesso e del tutto incapace, per motivi oggettivi, di comprendere la natura di un manufatto che al massimo poteva suggerirgli quello che ha suggerito e cioè la figura di un 'busto' di un dio maschile personificato. Quale divinità fosse poi era ancora più difficile da individuare non essendo attestata da nessuna parte e tanto meno in Sardegna una divinità baffuta con un viso perfettamente circolare che schernisce o si fa beffe di qualcuno o di qualche cosa.
Se noi però esaminiamo con attenzione il cosiddetto 'busto' ci rendiamo subito conto, innanzitutto, del chiaro geometrismo della raffigurazione dato da un triangolo (il supporto), da quattro linee oblique che simulano una veste con maniche corte e da un cerchio inserito nel detto triangolo. Quindi notiamo che il triangolo è reso alla base con le braccia e i pugni della persona, raffigurati opposti ed uniti come nell'atto di alludere ad una notevole forza, resa questa ancor più evidente dalle braccia muscolose e dai bicipiti. Ancora notiamo un copricapo ornamentale che sicuramente doveva terminare con una punta (il vertice superiore del triangolo), oggetto che è composto da quattro pendagli a mo' di trecce che scendono, due per parte, dalla testa- cerchio per circa la metà di esso. E infine notiamo che entrambi gli occhi hanno, sottostanti, due barrette orizzontali (simulanti verosimilmente più le rughe che le guance) e dei baffi che nascondono una bocca nell'atto di cavare la lingua e di fare uno sberleffo.
Scopriamo così, già da una prima osservazione, che quella strana raffigurazione cela qualcosa di nascosto, di molto nascosto, che spetta a noi decifrare e svelare.
Innanzitutto osserviamo che i 'macrosegni' della composizione sono il cerchio e il triangolo in cui esso è inserito, iconografia questa non difficile da interpretare in quanto in non poche civiltà antiche il significato è quello costante di 'occhio di Dio che tutto vede (the all seing eye), essendo spesso il cerchio simbolo dell'occhio luminoso (solare e lunare) della divinità e il triangolo simbolo della perfezione della stessa(3).

Ora, dal momento che sappiamo che nella scrittura nuragica il supporto deve essere letto per primo (4) e che spesso per primi, a sé stanti, vanno letti i segni più significativi, avremo una prima lettura con il significato suddetto di 'occhio di Dio che tutto vede '.

Fig.2


Se noi, forti sempre della validità della 'griglia di Sassari' ovvero degli espedienti di norma messi in essere nella scrittura arcaica sarda (5), ricorriamo ai simboli fonetici, pittografici e non, alla numerazione convenzionale logografica, all' acrofonia, all'ideografia, al lessico consueto e a quant'altro ci è noto del nuragico in mix e a rebus, ci rendiamo conto che il messaggio è quello che, tante volte, ci è capitato di leggere nella documentazione scritta messa in atto dagli scribi nuragici. Ma con una inedita e singolarissima aggiunta, come quella che ci consente, come vedremo più avanti, di dare una precisa identità al dio 'nascosto' nell'atto di schernire.
Individuati i due macrosegni che ci danno la lettura 'ayin yh עין יה partiamo ora da quelli più piccoli disposti al di fuoridel cerchio (o viso che sia del dio rappresentato) e poi calcoliamo quelli all'interno di esso. Noteremo innanzitutto che c'è la (solita) voce 'potenza', ovvero 'oz 'scritta' per tre volte in modo differente (6) :


- la forza resa con i quattro 'pendagli - trecce' dell'ornamento o berretto posto al di sopra della testa circolare
- la forza resa dalle 'quattro' linee simulanti il principio della veste.
- la forza resa con l'ideogramma delle braccia opposte in tensione muscolare e dei pugni chiusi


A questa noi dobbiamo aggiungere l'acrofonia della parola hdrh הדרה (ornamento, berretto) che ci consente di avere, come di norma in nuragico (7), il 'hê ovvero il pronome semitico lui/lei ה.
Avremo quindi la seconda lettura :



Tab. 1


Prendiamo ora i segni contenuti all'interno del viso e avremo:



- la voce nur/nul ottenuta con il viso circolare
- la voce 'ak ab(i) resa dal disegno della fronte e del naso
- la voce forza resa con il pittogramma 'ayin (occhio) e con il segno lineare zayin (le rughe)
- la voce forza resa ancora con il pittogramma 'ayin e con il segno lineare zayin (le rughe)
- la voce 'l (dio) ottenuta con l'immagine della 'aleph (toro) + l'ideogramma l'g לעג (schernire, farsi beffe di)

Avremo quindi il terzo dato di senso come si può vedere dalla tab. 2



Tab. 2


Tradotta in altri simboli nuragici corrispondenti la sequenza completa sarebbe questa:





Quindi la lettura completa del documento con scrittura criptata, se tutto abbiamo compreso e tutto messo al posto gusto, dovrebbe essere la seguente:


1. 'ayin di Dio
עין יה


2. 'oz 'oz 'oz di lui


ה עז עז עז


3. 'El doppia forza del toro alato (bue api) della luce


אל עז עז נל אג אב

Come si è visto sopra, abbiamo chiamato YH,provvisoriamente, il dio ma abbiamo il dato certo, per via acrofonica, che il dio è chiamato 'EL. Quindi siamo di fronte al biblico 'El YH.
Ora, se nessuna difficoltà sembra incontrarsi per accettare che l'oggetto nasconda una lettura ottenibile attraverso la soluzione del complicato rebus (eseguito questo, ripetiamo, con tutti i normali requisiti del sistema nuragico, compreso quella della lettura dall'alto verso il basso), un rebus indicante la potenza straordinaria, ovvero lasuperpotenza (8) della divinità, nessun ostacolo sembra ergersi anche per capire (e sino in fondo, senza possibili obbiezioni) che la divinità, così singolarmente e stranamente raffigurata, sia indiscutibilmente quella di YH.
Infatti, il dio noto in letteratura (l'unico caratterizzato, da quanto sappiamo, per questo aspetto) non di rado presentato nell'atto di chi 'si fa beffe di' e di chi 'schernisce' è il dio 'el yhwh אל יהוה del Vecchio Testamento.
Per esserne convinti si veda il celebre passo di Ps 2,4. Insorgono i re della terra/ e i principi congiurano insieme/ contro il Signore ed il suo consacrato// ''Spezziamo le loro catene /gettiamo via da noi il loro giogo !''// Ride colui che sta nei cieli / il Signore si fa beffe di loro / Egli parla nella sua ira , li spaventa nella sua collera' oppure quello di Prv. 1, 26: anch'io riderò delle vostre sventure, mi farò beffe quando su di voi verrà la paura'
Appare evidente che l'oggetto non rechi nessuna allusione ai casi specifici suddetti. C'è invece la semplice allusione e quindi il ricorso alla protezione di quel Dio doppiamente luminoso (soli -lunare), ovvero di yhwh, che si fa beffe di tutto e tutti e a cui nessuna potenza può resistere e può essere paragonata. Perciò chi porta con se quell'amuleto, usato con ogni probabilità contro il malocchio e la malasorte, si fa forte della magia dello scritto della 'potenza' nascosta dell' occhio di YHWH e può andare tranquillo contro il negativo dell'esistenza e magari contro chi, in un modo o nell'altro, vorrebbe nascostamente attentare alla sua serenità e alla sua incolumità.
Da ciò che si è detto su questa lastrina ossea risulta chiara l'analogia, se non di forma di contenuto, con altri due documenti nuragici di cui già si è parlato (v. figg. 3 e 4) ovvero del dischetto di Villaverde (9) e dell'oggetto votivo diS'Arcu 'e is Forros di Villagrande Strisaili (10).
Infatti anche in questi due casi lo scriba oltre a 'scrivere' più volte la voce 'oz , sottolinea che quella forza è doppia e che quella è la forza di yhwh. Basta riprendere le tabelle che abbiamo adoperato per illustrarli più compiutamente e attuare un confronto per rendersi conto che quello che dicono essi sostanzialmente dice anche il documento pubblicato dal Barreca.








Fig.3



Fig.4


Dal detto confronto ci piace rimarcare l'aspetto riguardante l'attenzione dei nuragici ( che sarà fatta propria dagli Etruschi (fig. 5) per la divinità androgina TIN/UNI 'apacatic' (11)) della doppia fonte di luce ovvero del doppio ed eterno occhio alato o cerchio soli - lunare. Il YHWH cananaico, di chiara ispirazione siro - palestinese, della Sardegna arcaica si distingue da quello del VT per la varia e più marcata simbologia (toro, serpente, uccello, albero della vita, fallo) ma soprattutto per una assai più accentuata connotazione astrale. YHWH è soprattutto NR, doppia luce che dà la vita, eterna lampada o occhio del cielo, diurna e notturna, senza la quale non ci sarebbe stato il principio della creazione e da quell'istante la vita.



Fig. 5


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Post-scriptum: osservazioni e commenti a questo post, inducono a presentare il cosiddetto "timpano" in trachite del pozzo sacro nuragico di Genoni (OR)-colle di Santu Antine. Lo si confronti con la figura 2 di questo post. MP



L'immagine del concio in trachite dal pozzo sacro di Genoni (sin.) è da questo sito. A destra, la figura 2 di questo post
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Note ed indicazioni bibliografiche


1. Barreca F. 1986, Sardegna archeologica. Studi e monumenti. La civiltà fenicio -punica in Sardegna, Delfino ed. Sassari.
2. Si tenga presente che il cosiddetto 'mastio' fu in origine (nuragica) un tempio e presumibilmente continuò ad esserlo anche in periodo successivo. Fu di esclusivo uso religioso e non militare. Non è un caso che il nostro oggetto di cultura religiosa nuragica yhwhistica fu trovato nel sacello. Per informazioni sul sito archeologico e le interpretazioni che vennero date sull'insediamento si veda in particolare P. Bernardini, 1989, Le origini di Sulcis e Monte Sirai, in Studi di egittologia e di antichità puniche, 4, pp. 45-66; P. Bartoloni, Monte Sirai: genesi di un insediamento, in Incontro "I Fenici", Cagliari, Regione Autonoma della Sardegna; P. Bartoloni- S.F.Bondì- L.A. Marras, 1992Monte Sirai, collana " Itinerari" , Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1990, pp. 31-36; idem,1994, L'impianto urbanistico di Monte Sirai nell'età repubblicana, in Atti del X Convegno di studio "L'Africa Romana" (Oristano, 11-13 dicembre 1992), Sassari, Gallizzi, pp. 817- 829; P. Bartoloni, 2000, La necropoli di Monte Sirai, Roma, Istituto per la civiltà fenicia e punica; Monte Sirai. Le opere e i giorni, a cura di P. Bernardini, C. Perra, 2001, Carbonia,; P. Bartoloni, 2002, Monte Sirai 1999-2000. Nuove indagini nell'insula B, in Rivista di Studi Fenici, 30,, pp. 41- 46;. P. Bartoloni, 2004. Monte Sirai, collana "Sardegna archeologica. Guide e Itinerari", Sassari, Carlo Delfino; M. Guirguis, 2012, Monte Sirai 2005-2010. Bilanci e prospettive, in Vicino Oriente, 16 pp. 97-129.
3 V. Chevalier J.- Gheerbrant A., 2005, Dictionnaire des Symboles. Mythes, Rêves, Coutumes , Gestes, Formes, Figures, Coulerurs, Nombres, Laffont ed. Paris, pp. 686 -689 e 967 – 969.
4. Sanna G., 2011, Scrittura nuragica: ecco il sistema. Forse unico nella storia della scrittura; in Monti Prama. Rivista di cultura di Quaderni Oristanesi, Dicembre, n° 62, pp. 25 - 33.
5. Ricordiamo ancora una volta che il codice nuragico, durato più di 1500 anni (XVI secolo a.C. - III secolo d. C.), fece uso, sino alla fine, della normativa posta in essere all'alba della sua nascita. Le regole del mix e del rebus delle cosiddette 'statue stele' sono, si può dire, le stesse dell'ultimo documento nuragico in mix (semitico sardo, latino ed etrusco) custodito in un museo della Sardegna (di cui tra non molto parleremo).
6. A queste ( v. più avanti) si devono sommare altre due voci 'oz. Quindi per la numerologia, sempre presente nei documenti nuragici, si deve registrare che la voce 'oz è ripetuta cinque volte. Essendo il cinque, così come il quattro, simbolo della potenza, l'oggetto, in virtù dell 'iterazione della parola, tende ad esaltare al massimo grado la 'potenza' del dio. Insomma ripetendo per cinque volte la voce potenza si ha il risultato di ottenerne una sesta.
7. Sanna G., 2011, Scrittura nuragica: ecco il sistema. Forse unico, ecc. cit. p. 27
8. Sanna G., 2013, La bipenne nuragica bronzea scritta di S'Arcu 'e is Forros di Villagrande Strisaili e la 'potenza' (עז) di IL YHWH; in monteprama blogspot.com (8 ottobre); idem, 2013, Tresnuraghes (Sardegna). La chiesetta campestre di Sant'Antonio e il concio della rete - trappola di yh(wh); in Monteprama blogspot. com (22 ottobre); idem, 2015, M.A.Fadda, Una mano con un piatto e due crostini? No, la yad di YHWH che regge la doppia forza del mondo; in monteprama blogspot. com (26 gennaio)
9. Sanna G., 2015, VILLA VERDE. Il talismano dell'occhio di Y(hwh). L'iterazione logografica in nuragico; in monteprama blogspot.com (7 febbraio)
10. Sanna G., 2013, La bipenne nuragica bronzea scritta di S'Arcu 'e is Forros, ecc. cit.

11. Sanna G., 2014, Scrittura nuragica: gli Etruschi allievi dei Sardi (I); in Monteprama blospot.com (1 dicembre); idem, 2014, Scrittura nuragica: gli Etruschi allievi dei Sardi(II); in monteprama blospot.com (10 dicembre); idem, 2015, Cerveteri. L'iscrizione (IV secolo a.C.) del cosiddetto 'Pilastro dei Claudii'. Laris Aule larisal figlio di Tin /Uni. Il linguaggio dei numeri nuragico ed etrusco. I documenti di Crocores e di Nabrones di Allai (III); in monteprama blogspot.com (11 gennaio).

martedì 31 marzo 2015

Il raggio che dà energia. Gratis

Il raggio che dà energia. Gratis

Rino Di Stefano

Marconi ideò un raggio che fermava i mezzi a motore. Mussolini lo voleva, il Vaticano lo bloccò. Da quelle ricerche gli scienziati crearono l'alternativa a petrolio e nucleare. Nel 1999 l'invenzione stava per essere messa sul mercato, ma poi tutto fu insabbiato
L’energia pulita tanto auspicata dal presidente Obama dopo il disastro ambientale del Golfo del Messico forse esiste già da un pezzo, ma qualcuno la tiene nascosta per inconfessabili interessi economici. Ma non solo. Negli anni Settanta, infatti, un gruppo di scienziati italiani ne avrebbe scoperto il segreto, ma questa nuova e stupefacente tecnologia, che di fatto cambierebbe l'economia mondiale archiviando per sempre i rischi del petrolio e del nucleare, sarebbe stata volutamente occultata nella cassaforte di una misteriosa fondazione religiosa con sede nel Liechtenstein, dove si troverebbe tuttora. Sembra davvero la trama di un giallo internazionale l'incredibile storia che si nasconde dietro quella che, senza alcun dubbio, si potrebbe definire la scoperta epocale per eccellenza, e cioè la produzione di energia pulita senza alcuna emissione di radiazioni dannose.

In altre parole, la realizzazione di un macchinario in grado di dissolvere la materia, intendendo con questa definizione qualunque tipo di sostanza fisica, producendo solo ed esclusivamente calore.
Una scoperta per caso
Come ogni giallo che si rispetti, l'intricata vicenda che si nasconde dietro la genesi di questa scoperta è stata svelata quasi per caso. Lo ha fatto un imprenditore genovese che una decina d'anni fa si è trovato ad avere rapporti di affari con la fondazione che nasconde e gestisce il segreto di quello che, per semplicità, chiameremo «il raggio della morte». E sì, perché la storia che stiamo per svelare nasce proprio da quello che, durante il fascismo, fu il mito per eccellenza: l'arma segreta che avrebbe rivoluzionato il corso della seconda guerra mondiale. Sembrava soltanto una fantasia, ma non lo era. In quegli anni si diceva che persino Guglielmo Marconi stesse lavorando alla realizzazione del «raggio della morte». La cosa era solo parzialmente vera. Secondo quanto Mussolini disse al giornalista Ivanoe Fossati durante una delle sue ultime interviste, Marconi inventò un apparecchio che emetteva un raggio elettromagnetico in grado di bloccare qualunque motore dotato di impianto elettrico. Tale raggio, inoltre, mandava in corto circuito l'impianto stesso, provocandone l'incendio. Lo scienziato dette una dimostrazione, alla presenza del duce del fascismo, ad Acilia, sulla strada di Ostia, quando bloccò auto e camion che transitavano sulla strada. A Orbetello, invece, riuscì a incendiare due aerei che si trovavano ad oltre due chilometri di distanza. Tuttavia, dice sempre Mussolini, Marconi si fece prendere dagli scrupoli religiosi. Non voleva essere ricordato dai posteri come colui che aveva provocato la morte di migliaia di persone, bensì solo come l'inventore della radio. Per cui si confidò con Papa Pio XII, il quale gli consigliò di distruggere il progetto della sua invenzione. Cosa che Marconi si affretto a fare, mandando in bestia Mussolini e gerarchi. Poi, forse per il troppo stress che aveva accumulato in quella disputa, nel 1937 improvvisamente venne colpito da un infarto e morì a soli 63 anni. 
La fine degli anni Trenta fu comunque molto prolifica da un punto di vista scientifico. Per qualche imperscrutabile gioco del destino, pare che la fantasia e la creatività degli italiani non fu soltanto all'origine della prima bomba nucleare realizzata negli Stati Uniti da Enrico Fermi e dai suoi colleghi di via Panisperna; altri scienziati, continuando gli studi sulla scissione dell'atomo, trovarono infatti il modo di «produrre ed emettere sino a notevoli distanze anti-atomi di qualsiasi elemento esistente sul nostro pianeta che, diretti contro una massa costituita da atomi della stessa natura ma di segno opposto, la disgregano ionizzandola senza provocare alcuna reazione nucleare, ma producendo egualmente una enorme quantità di energia pulita».
Tanto per fare un esempio concreto, ionizzando un grammo di ferro si sviluppa un calore pari a 24 milioni di KWh, cioè oltre 20 miliardi di calorie, capaci di evaporare 40 milioni di litri d'acqua. Per ottenere un uguale numero di calorie, occorrerebbe bruciare 15mila barili di petrolio. Sembra quasi di leggere un racconto di fantascienza, ma è soltanto la pura e semplice realtà. Almeno quella che i documenti in possesso dell'imprenditore genovese Enrico M. Remondini dimostrano.
La testimonianza
«Tutto è cominciato - racconta Remondini - dal contatto che nel 1999 ho avuto con il dottor Renato Leonardi, direttore della Fondazione Internazionale Pace e Crescita, con sede a Vaduz, capitale del Liechtenstein. Il mio compito era quello di stipulare contratti per lo smaltimento di rifiuti solidi tramite le Centrali termoelettriche polivalenti della Fondazione Internazionale Pace e Crescita. Non mi hanno detto dove queste centrali si trovassero, ma so per certo che esistono. Altrimenti non avrebbero fatto un contratto con me. In quel periodo, lavoravo con il mio collega, dottor Claudio Barbarisi. Per ogni contratto stipulato, la nostra percentuale sarebbe stata del 2 per cento. Tuttavia, per una clausola imposta dalla Fondazione stessa, il 10 per cento di questa commissione doveva essere destinata a favore di aiuti umanitari. Considerando che lo smaltimento di questi rifiuti avveniva in un modo pressoché perfetto, cioè con la ionizzazione della materia senza produzione di alcuna scoria, sembrava davvero il modo ottimale per ottenere il risultato voluto. Tuttavia, improvvisamente, e senza comunicarci il perché, la Fondazione ci fece sapere che le loro centrali non sarebbero più state operative. E fu inutile chiedere spiegazioni. Pur avendo un contratto firmato in tasca, non ci fu nulla da fare. Semplicemente chiusero i contatti».
Remondini ancora oggi non conosce la ragione dell'improvviso voltafaccia. Ha provato a telefonare al direttore Leonardi, che tra l'altro vive a Lugano, ma non ha mai avuto una spiegazione per quello strano comportamento. Inutili anche le ricerche per vie traverse: l'unica cosa che è riuscito a sapere è che la Fondazione è stata messa in liquidazione. Per cui è ipotizzabile che i suoi segreti adesso siano stati trasferiti ad un'altra società di cui, ovviamente, si ignora persino il nome. Ciò significa che da qualche parte sulla terra oggi c'è qualcuno che nasconde il segreto più ambito del mondo: la produzione di energia pulita ad un costo prossimo allo zero.
Nonostante questo imprevisto risvolto, in mano a Remondini sono rimasti diversi documenti strettamente riservati della Fondazione Internazionale Pace e Crescita, per cui alla fine l'imprenditore si è deciso a rendere pubblico ciò che sa su questa misteriosa istituzione. Per capire i retroscena di questa tanto mirabolante quanto scientificamente sconosciuta scoperta, occorre fare un salto indietro nel tempo e cercare di ricostruire, passo dopo passo, la cronologia dell'invenzione. Ad aiutarci è la relazione tecnico-scientifica che il 25 ottobre 1997 la Fondazione Internazionale Pace e Crescita ha fatto avere soltanto agli addetti ai lavori. Ogni foglio, infatti, è chiaramente marcato con la scritta «Riproduzione Vietata». Ma l'enormità di quanto viene rivelato in quello scritto giustifica ampiamente il non rispetto della riservatezza richiesta.
Il «raggio della morte», infatti, pur essendo stato concepito teoricamente negli anni Trenta, avrebbe trovato la sua base scientifica soltanto tra il 1958 e il 1960. Il condizionale è d'obbligo in quanto riportiamo delle notizie scritte, ma non confermate dalla scienza ufficiale. Non sappiamo da chi era composto il gruppo di scienziati che diede vita all'esperimento: i nomi non sono elencati. Sappiamo invece che vi furono diversi tentativi di realizzare una macchina che corrispondesse al modello teorico progettato, ma soltanto nel 1973 si arrivò ad avere una strumentazione in grado di «produrre campi magnetici, gravitazionali ed elettrici interagenti, in modo da colpire qualsiasi materia, ionizzandola a distanza ed in quantità predeterminate».
Ok dal governo Andreotti
Fu a quel punto che il governo italiano cominciò ad interessarsi ufficialmente a quegli esperimenti. E infatti l'allora governo Andreotti, prima di passare la mano a Mariano Rumor nel luglio del '73, incaricò il professor Ezio Clementel, allora presidente del Comitato per l'energia nucleare (Cnen), di analizzare gli effetti e la natura di quei campi magnetici a fascio. Clementel, trentino originario di Fai e titolare della cattedra di Fisica nucleare alla facoltà di Scienze dell'Università di Bologna, a quel tempo aveva 55 anni ed era uno dei più noti scienziati del panorama nazionale e internazionale. La sua responsabilità, in quella circostanza, era grande. Doveva infatti verificare se quel diabolico raggio avesse realmente la capacità di distruggere la materia ionizzandola in un'esplosione di calore. Anche perché non ci voleva molto a capire che, qualora l'esperimento fosse riuscito, si poteva fare a meno dell'energia nucleare e inaugurare una nuova stagione energetica non soltanto per l'Italia, ma per il mondo intero. Tanto per fare un esempio, questa tecnologia avrebbe permesso la realizzazione di nuovi e potentissimi motori a razzo che avrebbero letteralmente rivoluzionato la corsa allo spazio, permettendo la costruzione di gigantesche astronavi interplanetarie. 
Il professor Clementel ordinò quindi quattro prove di particolare complessità. La prima consisteva nel porre una lastra di plexiglass a 20 metri dall'uscita del fascio di raggi, collocare una lastra di acciaio inox a mezzo metro dietro la lastra di plexiglass e chiedere di perforare la lastra d'acciaio senza danneggiare quella di plexiglass. La seconda prova consisteva nel ripetere il primo esperimento, chiedendo però di perforare la lastra di plexiglass senza alterare la lastra d'acciaio. Il terzo esame era ancora più difficile: bisognava porre una serie di lastre d'acciaio a 10, 20 e 40 metri dall'uscita del fascio di raggi, chiedendo di bucare le lastre a partire dall'ultima, cioè quella posta a 40 metri. Nella quarta e ultima prova si doveva sistemare una pesante lastra di alluminio a 50 metri dall'uscita del fascio di raggi, chiedendo che venisse tagliata parallelamente al lato maggiore.
Ebbene, tutte e quattro le prove ebbero esito positivo e il professor Clementel, considerando che la durata dell'impulso dei raggi era minore di 0,1 secondi, valutò la potenza, ipotizzando la vaporizzazione del metallo, a 40.000 KW e la densità di potenza pari a 4.000 KW per centimetro quadrato. In realtà, venne spiegato a sperimentazione compiuta, l'impulso dei raggi aveva avuto la durata di un nano secondo e poteva ionizzare a distanza «forma e quantità predeterminate di qualsiasi materia».
Tra l'altro all'esperimento aveva assistito anche il professor Piero Pasolini, illustre fisico e amico di un'altra celebrità scientifica qual è il professor Antonino Zichichi. In una sua relazione, Pasolini parlò di «campi magnetici, gravitazionali ed elettrici interagenti che sviluppano atomi di antimateria proiettati e focalizzati in zone di spazio ben determinate anche al di là di schemi di materiali vari, che essendo fuori fuoco si manifestano perfettamente trasparenti e del tutto indenni».
In pratica, ma qui entriamo in una spiegazione scientifica un po' più complessa, gli scienziati italiani che avevano realizzato quel macchinario, sarebbero riusciti ad applicare la teoria di Einstein sul campo unificato, e cioè identificare la matrice profonda ed unica di tutti i campi di interazione, da quello forte (nucleare) a quello gravitazionale. Altri fisici in tutto il mondo ci avevano provato, ma senza alcun risultato. Gli italiani, a quanto pare, c'erano riusciti.
L'insabbiamento
In un Paese normale (ma tutti sappiamo che il nostro non lo è) una simile scoperta sarebbe stata subito messa a frutto. Non ci vuole molta fantasia per capire le implicazioni industriali ed economiche che avrebbe portato. Anche perché, quella che a prima vista poteva sembrare un'arma di incredibile potenza, nell'uso civile poteva trasformarsi nel motore termico di una centrale che, a costi bassissimi, poteva produrre infinite quantità di energia elettrica.
Perché, dunque, questa scoperta non è stata rivelata e utilizzata? La ragione non viene spiegata. Tutto quello che sappiamo è che i governi dell'epoca imposero il segreto sulla sperimentazione e che nessuno, almeno ufficialmente, ne venne a conoscenza. Del resto nel 1979 il professor Clementel morì prematuramente e si portò nella tomba il segreto dei suoi esperimenti. Ma anche dietro Clementel si nasconde una vicenda piuttosto strana e misteriosa. Pare, infatti, che le sue idee non piacessero ai governanti dell'epoca. Non si sa esattamente quale fosse la materia del contendere, ma alla luce della straordinaria scoperta che aveva verificato, è facile immaginarlo. Forse lo scienziato voleva rendere pubblica la notizia, mentre i politici non ne volevano sapere. Chissà? Ebbene, qualcuno trovò il sistema per togliersi di torno quello scomodo presidente del Cnen. Infatti venne accertato che la firma di Clementel appariva su registri di esame all'Università di Trento, della quale all'epoca era il rettore, in una data in cui egli era in missione altrove. Sembrava quasi un errore, una svista. Ma gli costò il carcere, la carriera e infine la salute. Lo scienziato capì l'antifona, e non disse mai più nulla su quel «raggio della morte» che gli era costato così tanto caro. A Clementel è dedicato il Centro ricerche energia dell'Enea a Bologna.
C'è comunque da dire che già negli anni Ottanta qualcosa venne fuori riguardo un ipotetico «raggio della morte». Il primo a parlarne fu il giudice Carlo Palermo che dedicò centinaia di pagine al misterioso congegno, affermando che fu alla base di un intricato traffico d'armi. La storia coinvolse un ex colonnello del Sifar e del Sid, Massimo Pugliese, ma anche esponenti del governo americano (allora presieduto da Gerald Ford), i parlamentari Flaminio Piccoli (Dc) e Loris Fortuna (Psi), nonché una misteriosa società con sede proprio nel Liechtenstein, la Traspraesa. La vicenda durò dal 1973 al 1979, quando improvvisamente calò una cortina di silenzio su tutto quanto.
Erano comunque anni difficili. L'Italia navigava nel caos. Gli attentati delle Brigate rosse erano all'ordine del giorno, la società civile soffocava nel marasma, i servizi segreti di mezzo mondo operavano sul nostro territorio nazionale come se fosse una loro riserva di caccia. Il 16 marzo 1978 i brigatisti arrivarono al punto di rapire il presidente del Consiglio, Aldo Moro, uccidendo i cinque poliziotti della scorta in un indimenticabile attentato in via Fani, a Roma. E tutti ci ricordiamo come andò a finire. Tre anni dopo, il 13 maggio 1981, il terrorista turco Mehmet Ali Agca in piazza San Pietro ferì a colpi di pistola Giovanni Paolo II.
È in questo contesto, che il «raggio della morte» scomparve dalla scena. Del resto, ammesso che la scoperta avesse avuto una consistenza reale, chi sarebbe stato in grado di gestire e controllare gli effetti di una rivoluzione industriale e finanziaria che di fatto avrebbe cambiato il mondo? Non ci vuole molto, infatti, ad immaginare quanti interessi quell'invenzione avrebbe danneggiato se soltanto fosse stata resa pubblica. In pratica, tutte le multinazionali operanti nel campo del petrolio e dell'energia nucleare avrebbero dovuto chiudere i battenti o trasformare da un giorno all'altro la loro produzione. Sarebbe veramente impossibile ipotizzare una cifra per quantificare il disastro economico che la nuova scoperta italiana avrebbe portato.
Ma queste sono solo ipotesi. Ciò che invece risulta riguarda la decisione presa dagli autori della scoperta. Infatti, dopo anni di traversie e inutili tentativi per far riconoscere ufficialmente la loro invenzione, probabilmente temendo per la loro vita e per il futuro della loro strumentazione, questi scienziati consegnarono il frutto del loro lavoro alla Fondazione Internazionale Pace e Crescita, che l'11 aprile 1996 venne costituita apposta, verosimilmente con il diretto appoggio logistico-finanziario del Vaticano, a Vaduz, ben al di fuori dei confini italiani. In quel momento il capitale sociale era di appena 30mila franchi svizzeri (circa 20mila Euro). «Sembra anche a noi - si legge nella relazione introduttiva alle attività della Fondazione - che sia meglio costruire anziché distruggere, non importa quanto possa essere difficile, anche se per farlo occorrono molto più coraggio e pazienza, assai più fantasia e sacrificio».
A prescindere dal fatto che non si trova traccia ufficiale di questa fantomatica Fondazione, se non la notizia (in tedesco) che il primo luglio del 2002 è stata messa in liquidazione, parrebbe che a suo tempo l'organizzazione fosse stata costituita in primo luogo per evitare che un'invenzione di quella portata fosse utilizzata solo per fini militari. Del resto anche i missili balistici (con quello che costano) diventerebbero ben poca cosa se gli eserciti potessero disporre di un macchinario che, per distruggere un obiettivo strategico, necessiterebbe soltanto di un sistema di puntamento d'arma.
Secondo voci non confermate, la decisione degli scienziati italiani sarebbe maturata dopo una serie di minacce che avevano ricevuto negli ambienti della capitale. Ad un certo punto si parla pure di un attentato con una bomba, sempre a Roma. Si dice che, per evitare ulteriori brutte sorprese, quegli scienziati si appellarono direttamente a Papa Giovanni Paolo II e la macchina che produce il «raggio della morte» venisse nascosta per qualche tempo in Vaticano. Da qui la decisione di istituire la fondazione e di far emigrare tutti i protagonisti della vicenda nel più tranquillo Liechtenstein. In queste circostanze, forse non fu un caso che proprio il 30 marzo 1979 il Papa ricevette in Vaticano il Consiglio di presidenza della Società Europea di Fisica, riconoscendo, per la prima volta nella storia della Chiesa, in Galileo Galilei (1564-1642) lo scopritore della Logica del Creato. Comunque sia, da quel momento in poi, la parola d'ordine è stata mantenere il silenzio assoluto.
Le macchine del futuro
Qualcosa, però, nel tempo è cambiata. Lo prova il fatto che la Fondazione Internazionale Pace e Crescita non si sarebbe limitata a proteggere gli scienziati cristiani in fuga, ma nel periodo tra il 1996 e il 1999 avrebbe proceduto a realizzare per conto suo diverse complesse apparecchiature che sfruttano il principio del «raggio della morte». Secondo la loro documentazione, infatti, è stata prodotta una serie di macchinari della linea Zavbo pronti ad essere adibiti per più scopi. L'elenco comprende le Srsu/Tep (smaltimento dei rifiuti solidi urbani), Srlo/Tep (smaltimento dei rifiuti liquidi organici), Srtp/Tep (smaltimento dei rifiuti tossici), Srrz/Tep (smaltimento delle scorie radioattive), Rcc (compattazione rocce instabili), Rcz (distruzione rocce pericolose), Rcg (scavo gallerie nella roccia), Cls (attuazione leghe speciali), Cen (produzione energia pulita).
A quest'ultimo riguardo, nella documentazione fornita da Remondini si trovano anche i piani per costruire centrali termoelettriche per produrre energia elettrica a bassissimo costo, smaltendo rifiuti. C'è tutto, dalle dimensioni all'ampiezza del terreno necessario, come si costruisce la torre di ionizzazione e quante persone devono lavorare (53 unità) nella struttura. Un'intera centrale si può fare in 18 mesi e potrà smaltire fino a 500 metri cubi di rifiuti al giorno, producendo energia elettrica con due turbine Ansaldo.
C'è anche un quadro economico (in milioni di dollari americani) per calcolare i costi di costruzione. Nel 1999 si prevedeva che una centrale di questo tipo sarebbe costata 100milioni di dollari. Una peculiarità di queste centrali è che il loro aspetto è assolutamente fuorviante. Infatti, sempre guardando i loro progetti, si nota che all'esterno appaiono soltanto come un paio di basse palazzine per uffici, circondate da un ampio giardino con alberi e fiori. La torre di ionizzazione, dove avviene il processo termico, è infatti completamente interrata per una profondità di 15 metri. In pratica, un pozzo di spesso cemento armato completamente occultato alla vista. In altre parole, queste centrali potrebbero essere ovunque e nessuno ne saprebbe niente.
Da notare che, secondo le ricerche compiute dalla International Company Profile di Londra, una società del Wilmington Group Pic, leader nel mondo per le informazioni sul credito e quotata alla Borsa di Londra, la Fondazione Internazionale Pace e Crescita, fin dal giorno della sua registrazione a Vaduz, non ha mai compiuto alcun tipo di operazione finanziaria nel Liechtenstein, né si conosce alcun dettaglio del suo stato patrimoniale o finanziario, in quanto la legge di quel Paese non prevede che le Fondazioni presentino pubblicamente i propri bilanci o i nomi dei propri fondatori. Si conosce l'indirizzo della sede legale, ma si ignora quale sia stato quello della sede operativa e il tipo di attività che la Fondazione ha svolto al di fuori dei confini del Liechtenstein. Ovviamente mistero assoluto su quanto sia accaduto dopo il primo luglio del 2002 quando, per chissà quali ragioni, ma tutto lascia supporre che la sicurezza non sia stata estranea alla decisione, la Fondazione ufficialmente ha chiuso i battenti.
Ancora più strabiliante è l'elenco dei clienti, o presunti tali, fornito a Remondini. In tutto 24 nomi tra i quali spiccano i maggiori gruppi siderurgici europei, le amministrazioni di due Regioni italiane e persino due governi: uno europeo e uno africano. Da notare che, in una lettera inviata dalla Fondazione a Remondini, si parla di proseguire con i contatti all'estero, ma non sul territorio nazionale «a causa delle problematiche in Italia». Ma di quali «problematiche» si parla? E, soprattutto, com'è che una scoperta di questo tipo viene utilizzata quasi sottobanco per realizzare cose egregie (pensiamo soltanto alla produzione di energia elettrica e allo smaltimento di scorie radioattive), mentre ufficialmente non se ne sa niente di niente?
Interpellato sul futuro della scoperta da Remondini, il professor Nereo Bolognani, eminenza grigia della Fondazione Internazionale Pace e Crescita, ha detto che «verrà resa nota quando Dio vorrà». Sarà pure, ma di solito non è poi così facile conoscere in anticipo le decisioni del Padreterno. Neppure con la santa e illustre mediazione del Vaticano.

sabato 28 marzo 2015

Il serpente dell’Eden era un ingegnere genetico


Il serpente dell’Eden era un ingegnere genetico

di Cristiano Patuzzi – Nuova Auras - sulla base delle traduzioni ebraiche di Mauro Biglino bibliche, extrabibliche e documentazioni sumero-accadiche





Leggere la Bibbia (Antico Testamento; la Torah ebraica corrispondente al nostro Pentateuco) per come è scritta (naturalmente da traduzione letterale originale) e senza calarci dentro mille interpretazioni o significati misterici, evidenzia una storia completamente diversa da quella alla quale siamo stati abituati. Molto probabilmente gli autori, in realtà, ci hanno raccontato reali cronache storiche e non artificiose metafore. La sua lettura letterale acquisisce, a questo punto, una logica lucidissima e una coerenza scientifica strabiliante; dissolve ogni dogma e va a colmare ogni buco e ogni lacuna sia evolutiva, sia mistica.


Premessa


Dalle traduzioni letterali effettuate sui testi originali in ebraico (consiglio i libri e le conferenze di Mauro Biglino – nella sezione Video) si scopre che la narrazione biblica racconta in realtà una storia molto diversa da quella interpretata e veicolata dalla filologia e dalla teologia ebraica e successivamente cristiana.


Molto rapidamente; (Qui per un ottimo approfondimento) i termini Elyon, Elohim e Yahweh, che gli esegeti ebrei prima e le traduzioni teologiche cattoliche dopo, hanno unificato con la figura unica di Dio; in realtà descrivono tre differenti parole per tre differenti significati.


Elohim
innanzitutto è un termine ebraico plurale (del singolare El o Eloah) che viene tradotto in molti modi quali “gli splendenti” “Coloro che discendono” “Governatori” “legislatori” e per quanto la teologia miri a convincere che sia stato usato il plurale come accrescitivo della potenza di Dio, in molti diversi passi dell’antico testamento tale giustificazione cade in palesi contraddizioni. Nei testi originali appare ogni volta che nella traduzione italiana troviamo la parola “Dio”. Calato nel contesto delle scritture nella loro completezza, emerge in modo evidente che gli Elohim erano un nutrito gruppo di individui assolutamente in carne e ossa, corrispondenti agli Anunnaki descritti nelle tavolette cuneiformi sumero-accadiche.





Elyon
corrisponde alla traduzione italiana “l’Altissimo”. In Deuteronomio (cap. 32 ver. 8) viene descritta la suddivisione della Terra in Nazioni e la spartizione dei popoli tra gli Elohim. [Nella traduzione masoretica, così come nella versione cattolica, il termine plurale Elohim come destinatari delle assegnazioni da parte di Elyon, viene sostituita con israeliti: "Quando l'Altissimo divideva i popoli, quando disperdeva i figli dell'uomo, egli stabilì i confini delle genti secondo il numero degli Israeliti"]. Naturalmente il testo originale non menziona affatto il termine “israeliti” in quanto a quel tempo né il popolo né la lingua ebraica esistevano. Tuttavia le esigenze teologiche non potevano permettersi di lasciare il termine Elohim, sarebbe stato assolutamente troppo esplicita la pluralità degli “Dei”. In sostanza dai testi originali si evince che Elyon era con molte probabilità il comandante supremo degli Elohim e discese sulla Terra solamente in pochissime occasioni. Al tempo della spartizione delle Nazioni e in occasione di un concilio (riunione) di Elohim narrata in Salmi 82: “Dio si alza nell’assemblea divina, giudica in mezzo agli Dei” “Io ho detto: Voi siete Dèi, siete tutti figli dell’Altissimo“. “Eppure morirete come ogni uomo, cadrete come tutti i potenti..” In questa narrazione l’originale traduzione ci racconta come durante un’assemblea degli Elohim, Elyon si alzò e parlò loro riprendendoli. Disse loro, voi siete tutti Elohim, ma ricordate che anche voi morirete, proprio come gli Adàm.


Gli Elohim erano presumibilmente una razza (presumibilmente non umana) ma certamente in carne e ossa, il loro aspetto (tratto da pochissimi indizi veterotestamentari e scritti extrabiblici) li descrive come alti, dalla pelle coriacea bianca come il latte, capelli bianchi argentei e occhi grandi e iridescenti. (nell’immagine di copertina potete vederne una ricostruzione) Vengono considerati eterni o immortali (come Dei) ma solo per una loro spropositata longevità rispetto all’Adàm (abitanti dell’Adamà, letteralmente i terrestri) pare potessero vivere dai 20 ai 30.000 anni ma potevano essere uccisi come chiunque altro.


Yahweh il nome di Dio secondo l’ebraismo e la Chiesa Cattolica. Nei testi biblici tradotti compare come “Signore” “l’Eterno” “Dio di Israele”. Secondo la tradizione Il suo nome fu pronunciato a Mosè nel famoso incontro sulla montagna (Libro dell’Esodo). In realtà ai tempi (presunti) di Mosè la lingua ebraica non esisteva ancora, sorge quindi spontanea la domanda: in quale lingua fu pronunciato originariamente? Le genti uscite dall’Egitto vissero per almeno quattro secoli in quelle terre, pertanto è presumibile che parlassero l’egiziano o al limite l’amorreo (una forma proto-semitica) Alcuni studiosi e pensatori ebrei asseriscono che il popolo uscito dall’Egitto con Mosè fosse composto da soli egiziani. Originariamente del termine si conosce solo il famoso tetragramma יהוה trascritto la prima volta 400 anni dopo essere stato pronunciato, corrispondente al consonantico YHWH e vocalizzato in YaHWeH solo dopo altri 1.600 anni. Si può presumere che l’Eloah pronunciò il proprio nome nella sua lingua e fu successivamente riprodotto secondo la fonetica semitica.


Nonostante nella Bibbia il nome di “Dio” comparve con Mosè, in alcuni scritti ancora più antichi ritrovati in Libano (ai tempi terra dei Fenici), viene menzionato il nome di Yhwh come figlio giovane di uno dei capi Elohim di quel territorio. Anche nella stele di Mesha (Giordania) del IX secolo a.c. viene trovato il nome Yhwh in contesa con l’Eloah Kemosh (divinità moabita). Di Kemosh si parla anche in relazione alla guerra durante la quale la valle di Sodoma e Gomorra fu distrutta dalle “armi del terrore” utilizzate da un altro Eloah, Ninurta (sumero-accadico, figlio di Enlil fratello di Enki) regnante in Assiria (odierno Iraq). Altri testi extrabiblici riportano che Yhwh era conosciuto già secoli prima, in altri territori, con il nome di Shaddai; inoltre nei libri della Bibbia copta si parla anche della sua compagna Asherah. Sul fianco della giara di Kuntillet Ajrud, sono presenti motivi iconografici che mostrano tre figure antropomorfiche e un’iscrizione che nomina appaiati «Yahweh [...] e la sua Asherah». Conosciuta anche con il nome di Anat o Ashratum.





Creazione dell’uomo (Homo sapiens)


Secondo le scritture bibliche (originali), così come nei testi sumero-accadici (per altro ancora più precisi e dettagliati), gli Elohim decisero di fare l’Adàm incrociando il loro DNA con quello dell’ominide presente sulla Terra (L’Adamà). Nella Genesi sono due gli episodi relativi alla creazione; nel primo, secondo la tradizione, troviamo scritto: “Dio disse facciamo l’uomo a nostra immagine e a nostra somiglianza”. La traduzione corretta e letterale dall’ebraico recita: “Gli Elohim (ricordiamo che è plurale e infatti anche i verbi che seguono lo sono) dissero facciamo l’Adàm con la nostra immagine (DNA), l’Adàm sarà a nostra somiglianza”.


In ebraico viene utilizzato il termine “Zelem” che significa “quel qualcosa che contiene l’immagine” ed essendo un vocabolo derivante dal verbo “Zalem” che indica “tagliare fuori” (estrarre – togliere), descrive in modo chiaro che l’immagine degli Elohim è contenuta in un qualcosa che è stato “tagliato fuori” dagli Elohim. Nelle cronache sumero-accadiche è esplicitamente descritto che quel “qualcosa” fu estratto dal sangue di giovani Anunnaki maschi. Si parla pertanto della metà “donatrice” cioè il primo racconto parla del DNA Elohim.


Nel secondo racconto si narra che Dio modellò l’uomo dalla terra e vi soffiò dentro la vita. “allora il Signore Dio modellò l’ uomo con la polvere del terreno e soffiò nelle sue narici un alito di vita; così l’ uomo divenne un essere vivente”. Nella versione originale il termine tradotto con polvere (argilla, fango) in realtà descrive “la forma” cioè la matrice nella quale inserire il “soffio di vita”. Si parla pertanto della metà “ricevente” cioè il secondo racconto parla del DNA dell’Adàm. Un palese riferimento a una operazione di ingegneria genetica con il quale gli Elohim hanno contribuito allo spropositato e ancora oggi inesplicato salto evolutivo dell’uomo rispetto a tutti gli altri primati terrestri. L’anello mancante dell’evoluzione non è stato ancora trovato in quanto non esiste; ciò che ha fatto la differenza è stata “l’immagine” degli Elohim.


Recentemente i genetisti si sono accorti della presenza nel genoma umano di parti consistenti di DNA inizialmente denominato “spazzatura” poiché non codificante, parte che non dovrebbe esistere nei nostri geni.


Adamo ed Eva


Innanzitutto va precisato che nelle scritture bibliche originali la parola Adàm (come già intuibile dai passi precedenti) non determina un individuo ma una specie, l’articolo determinativo presente nei testi ebraici (l’Adàm) ne è la prova. Come descritto ampiamente e con dovizia di particolari dalle tavolette sumero-accadiche, gli Anunnaki eseguirono diversi esperimenti prima di raggiungere il successo, generando l’Uomo. Sono descritti almeno sette tentativi andati male (aborti, mostruosità, menomazioni e mutazioni), addirittura scrissero che fu prelevato il sangue direttamente dal capo supremo (Elyon?), nella speranza di una migliore qualità genetica; tuttavia anche in questo caso il risultato fu un fallimento totale. Questi racconti ci confermano che la “creazione” dell’Uomo avvenne a fronte di una lunga catena di tentativi ed esperimenti assolutamente di natura genetica, non creazionista.


Tornando alla Bibbia, fatto l’Adàm (inteso come specie), gli Helohim (o Anunnaki) lo posero in Eden e gli affidarono ogni sorta di animale e la cura del “giardino”. Presumibilmente affidarono agli “umani” la cura dei campi, degli alberi da frutto e del bestiame, all’interno del loro centro di comando (l’Eden). A un certo punto gli Elohim si accorsero che l’uomo non trovava negli animali una compagnia che gli fosse simile.





(ndr: se mantenessimo l’interpretazione teologica, secondo la quale Elohim è Dio, in questo passo viene da pensare che “Dio” inizialmente abbia sbagliato, creando gli animali come compagnia all’uomo e non creando direttamente la donna) E’ evidente che l’assenza femminile abbia portato negli Adàm una certa promiscuità e che i naturali fisiologici istinti sessuali venissero sfogati sia in modo omosessuale che verso altre specie.


Gli Elohim decisero quindi di creare la femmina e nel relativo passo biblico (Genesi 2,21) è evidente si parli di una operazione chirurgica con la quale venne estratto del materiale da “parte laterale ricurva” (tradotta con “costola” ma presumibilmente relativa alla cresta iliaca).
Una curiosità interessante


Gli studiosi ebraici sostengono, tramite il Talmud, che a creare l’uomo non furono gli Elohim bensì i Refahim o Rofim (secondo la vocalizzazione), che identificherebbe i loro medici. Infatti il termine Refahim descrive la funzione, non la razza o specie. (come Malachim che indica la funzione di portatore di ordini “messaggero”, in greco anghelos, in latino angelus e infine in italiano angelo) Da ciò si può ritenere che sia Elohim che Refahim possano essere corretti in quanto gli Elohim dediti alla funzione medica acquistavano l’appellativo di Refahim. E’ il plurale di Refael o Rafael dal quale deriva il nome Raffaele. E’ curioso che oggi l’Arcangelo Raffaele sia ricordato come il protettore della medicina e dei dottori. (Il San Raffaele di Milano è sormontato da una enorme statua di San Raffaele)





Oggi le cellule staminali vengono prelevate tramite aspirazione di sangue midollare proprio dalla cresta iliaca (parte laterale ricurva). La Bibbia scrive: “Allora l’Eterno DIO fece cadere un profondo sonno sull’uomo, che si addormentò; e prese una delle sue costole, e rinchiuse la carne al suo posto”. Incrociando ancora una volta i testi biblici con i resoconti sumero-accadici si può leggere in queste righe che gli Elohim indussero nei soggetti un sonno profondo (anestesia totale) e prelevarono dall’Adàm le cellule staminali dalla cresta iliaca. Fatto ciò richiusero le carni al loro posto e con ciò prelevato procedettero, tramite clonazione e interventi genetici, alla produzione di soggetti femminili, le Eva.


Il peccato originale e il serpente


All’interno del giardino (dell’Eden) ci dicono essere stati posti due alberi: l’albero della vita e quello della conoscenza del bene e del male. In realtà su questo argomento la Bibbia fa un po’ di confusione mischiando più volte l’uno con l’altro.


Tutti conosciamo bene la storia della mela e il serpente; tuttavia la teologia fa apparire il racconto come una fiaba o quanto meno una metafora finalizzata all’inserimento del peccato originale. (la disobbedienza a Dio)


(ndr: Se paragoniamo la disobbedienza nel mangiare un frutto rispetto a ogni sorta di aberrazioni che l’uomo ha commesso, dall’alba dei tempi a oggi, viene da pensare che nella giustizia divina vi sia ben più che una lacuna o come minimo oggi dovrebbe radere al suolo l’intero pianeta). Evidentemente una lettura letterale e corroborata da una corretta traduzione e ricerche trasversali (testi extrabiblici e parallelismi con tutte le altre culture) riescono a colmare gli innumerevoli buchi logici oggi resi dogmatici dalla filologia ebraica e dalla teologia cattolica.


Quanto scritto originariamente nella Genesi è molto più concreto di quel che traspare dalle visioni spiritualistiche. Bisogna innanzitutto sapere che i Refahim o Rofim biblici possono essere ricondotti ai corrispettivi sumero-accadici “Kashdeian” ovvero il gruppo di Anunnaki (Elohim) dediti alle scienze biomediche. (secondo gli studi di un sumerologo del Christ College di Cambridge). Il serpente che ha la tana sotto terra indicherebbe simbolicamente gli studi che vanno in profondità e la sua raffigurazione intrecciata riproduce con tutta evidenza la doppia elica del DNA.





Si riscontra che i Kashdeian venissero chiamati “serpenti” divisi in due categorie: i serpenti a un occhio (scienziati dediti agli studi astronomici) e quelli a due occhi (ingegneri genetici e biologi), occhi rispettivamente descrittivi degli strumenti tecnologici utilizzati, il telescopio (uno) e il microscopio (due).


Ciò che biblicamente viene descritto come il frutto del peccato non è mai indicato come mela ma solo “frutto”, mela presumibilmente deriva, nelle più recenti traduzioni teologiche, dall’analogia con il termine latino malus. L’albero della conoscenza altro non era che la consapevolezza della propria sessualità e della sua funzionalità di procreare in modo naturale. (Fino a quel momento a produrre gli Adàm ci pensavano gli Elohim). A questo fa riferimento il passo in cui si dice che mangiando del frutto della conoscenza l’uomo sarebbe diventato come “Dio”; allude alla capacità di procreare autonomamente (ovvero creare la vita), proprio come gli Elohim.


Il serpente dell’Eden era molto probabilmente un Kashdeian (Refahim), conosciuto allora come uno dei “serpenti” alcuni sostengono fosse addirittura il genetista stesso che programmò e seguì l’incrocio genetico con gli Elohim (pertanto il nostro “creatore”). Molti lo identificano con Enki (Dio sumero-accadico), fratello di Enlil, entrambi figli dell’altissimo (Elyon?) e che si dividevano il comando sulla Terra. Mentre Enlil esigeva che gli Adàm fossero tenuti sotto loro diretto controllo e che la loro (ri)produzione fosse subordinata e programmata, Enki desiderava per le “sue” creature, la possibilità di riprodursi ed evolversi naturalmente. Concesse agli Adàm la fertilità, rendendoli quindi uguali a loro. I capi della fazione di Enlil disapprovarono tale azione e come conseguenza “cacciarono” gli Adàm dal Gad-Eden. Questa non fu in realtà una condanna (come espresso dalla teologia) bensì una sentenza post evento. I passi che descrivono le “punizioni” di Dio:


“Tu uomo lavorerai il suolo con il sudore”


altro non è che una logica ovvietà; finché vivevano nell’Eden, al cibo pensavano gli Elohim; ora l’uomo per mangiare dovrà cavarsela da solo, lavorare la terra e andare a caccia. Nessuna condanna, ma semplice conseguenza.


“Tu donna partorirai con gran dolore”


altra ovvietà; finché vivevano nell’Eden, alla riproduzione pensavano gli Elohim, fino all’intervento di Enki (il serpente) gli Adàm non erano fertili e venivano “prodotti” presumibilmente in vitro. Con il raggiungimento della fecondità e la possibilità di riprodursi autonomamente, le femmine (le Eva) avrebbero sperimentato che partorire è doloroso (esperienza naturale vissuta anche dagli Elohim). ancora una volta nessuna condanna, ma semplice conseguenza della loro scelta.


Anche il concetto della conoscenza del bene e del male (nella filologia ebraica mai espressi come aspetti spirituali o morali ma assolutamente pratici e concreti) è semplicemente la sperimentazione diretta di ogni aspetto della vita, positivo o negativo. In sostanza gli Elohim concessero all’Adàm la libertà di sperimentare la loro nuova condizione: “bene, ora che siete come noi, andate e vivete ogni esperienza positiva o negativa della vostra nuova condizione”.


L’albero della vita


Genesi 3,22 “Il Signore Dio disse allora: Ecco l’uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male. Ora, egli non stenda più la mano e non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva sempre!” In questo passo biblico torna il plurale “noi” relativo a “Dio”.


La preoccupazione di Enlil fu che l’Adàm, ormai in grado di procreare liberamente, potesse accedere all’altra caratteristica tipica degli Elohim, la loro spropositata longevità. I nostri genetisti odierni hanno appena cominciato a capire i meccanismi responsabili della degenerazione cellulare, gli errori di “copia” del codice genetico ad ogni sua replica. Gli Elohim è probabile avessero una tal conoscenza genetica da aver sconfitto tali perdite di informazioni del DNA ed essere pertanto in grado di vivere fino a oltre 35.000 anni. E’ pensabile quindi temessero che l’uomo potesse ottenere accesso a tali conoscenze (non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva sempre).


Chiedo scusa per eventuali eccessive semplificazioni e qualche eventuale errore; prendete tutto ciò alla stregua di una favola (Adam Kadmon docet) …ma riflettete sulla lucidità e logicità di questa versione che è quanto ricavabile da una semplice lettura letterale e basata su un racconto dei fatti incontrovertibilmente condivisibile da tutti gli scritti antichi delle più svariate culture, dal medio oriente, all’oriente, dai nativi americani alle tribù africane ai popoli precolombiani dell’America latina.


Per chiudere, mi scuso con chiunque abbia fede in qualsiasi religione o culto, precisando tuttavia che quanto qui descritto non vuole in nessun modo escludere l’esistenza di Dio (trascendente e spirituale), semplicemente questo Dio non è menzionato nelle scritture ebraiche originali. Ritengo che la Bibbia narri la storia di un popolo e la sua relazione con uno degli Elohim, Dio …quella è tutta un’altra storia!


– Cristiano Patuzzi – Nuova Auras


http://www.nuovaauras.it/?p=1751

tratto da www.progettoatlanticus.net/