mercoledì 2 ottobre 2013

Un’inaspettata attività nel cervello in coma


Un’inaspettata attività nel cervello in coma


Anche in presenza di un elettroencefalogramma piatto, l'ippocampo, una struttura profonda del cervello, può avere un'attività residua. La scoperta non mette a rischio la validità dei criteri con cui è stabilita la morte cerebrale e può portare a nuove strategie terapeutiche che agevolino la ripresa di quei pazienti che sono portati in uno stato di coma artificiale per facilitare il recupero di danni al cervello.
La frase “ha un elettroencefalogramma piatto” è considerata sinonimo di assenza di attività cerebrale.Ora però uno studio effettuato all’Università di Montreal e pubblicato su PLoS ONE  ha dimostrato che questo non è sempre vero. Florin Amzica e colleghi hanno scoperto che in caso di elettroencefalogramma piatto è possibile che siano presenti segnali, che i ricercatori hanno chiamato complessi ν (o complessi Nu), generati a livello della formazione ippocampale.
Amzica, che ha diretto lo studio, ha sottolineato che questa scoperta non mette a rischio la validità degli attuali criteri per stabilire la morte di una persona, basati appunto sull’elettroencefalogramma:
“Le persone che hanno deciso di ‘staccare la spina‘ a un parente in stato di morte cerebrale non devono preoccuparsi o dubitare del proprio medico. Gli attuali criteri per la diagnosi di morte cerebrale sono estremamente rigorosi e prevedono nel caso di incidenti, ictus e simili anche la prova di un danno cerebrale strutturale irreversibile”.
Figura.  l'attività corticle neuronale ippocampale durante lo stato νC.
A ) neocorticale neurone piramidale dalla zona suprasylvian 5 (sopra) e registrato simultaneamente piramidali CA3 neurone dell'ippocampo riempito di Lucifer Yellow e ricostruito con microscopia confocale. Loro rispettive posizioni sono schematicamente indicati su una sezione coronale Nissl-tinto del cervello. ( B ) Dall'alto in basso: registrazione simultanea di EEG, intracellulare neurone corticale (verde), intracellulare dei neuroni dell'ippocampo (blu) e adiacente potenziale campo ippocampale (FP).Entrambe le tracce dell'ippocampo indicano la presenza di due tipi di attività: delta increspature a circa 1 Hz (piccole ampiezza potenziali positivi nella FP, accompagnati da raffiche di potenziali d'azione nella vicina neurone), e un νC (ampiezza alta spinoso potenziale multifasico nel FP, che è accompagnato da scariche neuronali). Visualizza l'EEG una linea isoelettrica continuo durante increspature dell'ippocampo, ma visualizza la νC durante il quale i neuroni corticali scarichi raffiche di potenziali d'azione. Delta increspature non sono espressi nella neocorteccia. ( C ) rapporto di tempo tra scariche neuronali per eventi νC indicano che gli scarichi dell'ippocampo costantemente precedono quelli neocorticali.
doi: 10.1371/journal.pone.0075257.g004
L’interesse principale della scoperta, ha proseguito il ricercatore, riguarda il suo potenziale terapeutico di neuroprotezione. Dopo un trauma, alcuni pazienti sono in condizioni così gravi che sono portati deliberatamente dai medici in uno stato di coma artificiale per facilitare il recupero di eventuali danni cerebrali.
Lo studio ha preso il via dall’osservazione che in un paziente in coma anossico profondo in cura con potenti farmaci antiepilettici l’elettroencefalogramma registrava impulsi che i medici non riuscivano a spiegare.
Per capire quale fosse l’origine di questi segnali i ricercatori hanno provocato in alcune cavie di laboratorio uno stato di coma profondo, ma reversibile, fino a quando non hanno ottenuto un elettroencefalogramma piatto, che è associato con l’assenza di attività della corteccia cerebrale, la parte del cervello che controlla tutte le facoltà mentali superiori.
Allo stesso tempo, i ricercatori hanno monitorato sia la corteccia sia le parti più profonde del cervello delle cavie grazie ad alcuni elettrodi. In questo modo Amzica e colleghi hanno osservato un’attività cerebrale sotto forma di oscillazioni generate nell’ippocampo, la parte del cervello responsabile della memoria e dei processi di apprendimento.
In alcune situazioni, queste oscillazioni, mai rilevate prima, potevano trasmettersi alla corteccia, producendo segnali uguali a quelli osservati nel paziente in coma anossico.
I ricercatori hanno anche scoperto che “l’ippocampo può inviare ordini al comandante in capo del cervello, la corteccia”, un dato di estremo interesse che può portare a strategie terapeutiche di grande beneficio per i pazienti.
“Sappiamo che un organo o un muscolo che rimane inattivo per lungo tempo alla fine si atrofizza. E’ plausibile che lo stesso valga per un cervello tenuto a lungo in uno stato corrispondente a un elettroencefalogramma piatto. Un cervello inattivo che esce da un coma prolungato può essere in condizioni peggiori di un cervello che, grazie ai complessi ν ha avuto un minimo di attività.”

giovedì 12 settembre 2013

Antichità giudaiche, Guerra giudaica

Antichità giudaiche, Guerra giudaica e Contro Apione 

di Giuseppe Flavio in inglese si scaricano da:

Se mi dicessero che il falso profeta egizio di cui qui si tratta era Gesù non me ne stupirei  minimamente. Mi stupirei al contrario se non lo fosse, perché è ben difficile che possano esistere a così breve distanza di tempo e nello stesso luogo due individui così simili fra loro. Il falso profeta, come Gesù, veniva dall’Egitto, era a capo di gente armata, voleva farsi re di Gerusalemme, si attestò sul monte degli ulivi, fu contrastato non solo dai Romani ma anche dall’intero popolo ebreo, i suoi furono uccisi e i superstiti costretti a disperdersi.
Ma c’è di più. A rafforzare il mio sospetto sull’identificazione di questo ciarlatano ribelle a Roma –  scampato alla morte sulla croce a Gerusalemme  – col Gesù dei vangeli, c’è proprio un passo degli Atti degli apostoli che conferma quello della Guerra giudaica e getta al contempo una luce sinistra sul vero capostipite  dei cristiani, sulla sua effettiva cronologia e sulla figura dello stesso Paolo, strettamente legato  (mentre vorrebbe presentarsi come cristiano dell’ultima ora) al cristianesimo sovversivo –  una replica del  Pietro rinnegatore –   fin dal suo sorgere. Dice il tribuno romano a Paolo « …non sei quell’Egiziano che in questi ultimi tempi ha sobillato e condotto nel deserto i quattromila ribelli? »  (21, 38) Paolo nega. Ma intanto per precauzione i ribelli seguaci di quello che io sospetto essere Gesù da 30.000 passano a 4.000. Ma forse qui siamo al momento in cui l'Egiziano,  scappato a Felice,  s'è rifugiato nel deserto a Qumran. Q Ma forse qui siamo al momento in cui l'Egiziano,  scappato a Felice,  s'è rifugiato nel deserto a Qumran. Questo dialogo fra Paolo e il tribuno avviene, badate bene, a Gerusalemme, dopo che Paolo è caduto nel tranello tesogli  dai suoi confratelli gerosolimitani che lo hanno consegnato ai romani. Lo abbiamo detto e ridetto che fra Paolo dei gentili e i gerosolimitani di Pietro di Pietro di Pietro di Pietro e Giacomo il giusto fratello di Gesù,  che continuavano a predicare esclusivamente  agli ebrei c’era tensione. Paolo viene portato a Cesarea presso il governatore Felice, fa appello all’imperatore  Nerone dichiarandosi cittadino romano,  viene inviato perciò da Festo, il governatore succeduto a Felice, a Roma. Con questo primo soggiorno a Roma di Paolo si chiudono gli Atti degli apostoli.

Se accogliessimo questa versione della vita di Gesù falso profeta egizio (e Gesù puo’ essere stato definito egizio perché è stato in Egitto e dall’Egitto è entrato in Palestina), ci spiegheremmo meglio non solo il tono violento dei vangeli appena mascherato dalle fregnacce buonistiche prese in prestito  dagli esseni, che pure erano dei ribelli a Roma, ma soprattutto si spiegherebbe la immediatezza fra il fallimento dell’impresa del falso profeta e la dispersione dei suoi seguaci in tutto l’impero romano e di Pietro e Paolo a Roma che viene data alle fiamme al posto di Gerusalemme. Francamente non si vede come gli Atti degli apostoli, le lettere e altro, possano riempire il buco di  un trentennio – un’intera generazione –  fra  la presunta  morte di Gesù in croce a Gerusalemme sotto Tiberio e l’arrivo a Roma  e la morte di Pietro e Paolo sotto Nerone, cioè la data di nascita vera e propria del cristianesimo.

Sbarazziamoci qui una volta per tutte delle pseudo testimonianze extracristiane della vita di Gesù. Queste si riducono al solo Giuseppe Flavio (37-primi del II sec. d. C. ) e si trovano in Antichità giudaica XVIII, III, 3, chiamato anche testimonium flavianum:
Ci fu verso questo tempo Gesù, uomo saggio, se pure bisogna chiamarlo uomo: era infatti autore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità, ed attirò a sé molti Giudei, e anche molti dei greci. Questi era il Cristo. E quando Pilato, per denunzia degli uomini notabili fra noi, lo punì di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già annunziato i divini profeti queste e migliaia d’altre meraviglie riguardo a lui. Ancor oggi non è venuta meno la tribù di quelli che, da costui, sono chiamati Cristiani.
e XX,  IX, 1, detto anche l'altro testimonium flavianum:
Anano […] convocò il sinedrio a giudizio e vi condusse il fratello di Gesù, detto  Cristo (detto Messia), di nome Giacomo, e alcuni altri, accusandoli di trasgressione della legge e condannandoli alla lapidazione.

Giuseppe Flavio  era ebreo della casta sacerdotale e mai s’è fatto o dichiarato convertito al cristianesimo, e ciò ci è confermato da fonte cristiana, perché Origene, III secolo, commentando proprio l'Antichità giudaica, attribuisce a Giuseppe l’affermazione  che Gerusalemme fu distrutta per castigo divino in punizione del martirio dell’apostolo Giacomo, aggiungendo: « E la cosa sorprendente è che egli, pur non ammettendo il nostro Gesù essere il Cristo, ciò nondimeno rese a Giacomo attestazione di tanta giustizia  »  (Commento a Matteo, X,17).  Nel Contro Celso, I, 47, riprende il medesimo concetto, facendo  rilevare come Giuseppe dica queste cose « sebbene non credente in Gesù come il Cristo ». Ne deduciamo una cosa sola, e cioè che al tempo di Origene il testo flaviano ancora non era stato manipolato dai cristiani. Fu probabilmente Origene con questa sua affermazione a far sorgere in uno dei tanti idioti zelatori del cristianesimo  la brillante idea di  fare il miracolo, rendere Giuseppe Flavio un  credente cristiano.


Riporto integralmente, in inglese, il passo di Origene dal Commento a Matteo:
da
17. THE BRETHREN OF JESUS.
And the saying, "Whence hath this man this wisdom," indicates clearly that there was a great and surpassing wisdom in the words of Jesus worthy of the saying, lo, a greater than Solomon is here." And He was wont to do greater miracles than those wrought through Elijah and Elisha, and at a still earlier date through Moses and Joshua the son of Nun. And they spoke, wondering, (not knowing that He was the son of a virgin, or not believing it even if it was told to them, but supposing that He was the son of Joseph the carpenter,) "is not this the carpenter's son?" And depreciating the whole of what appeared to be His nearest kindred, they said, "Is not His mother called Mary? And His brethren, James and Joseph and Simon and Judas? And His sisters, are they not all with us?"
They thought, then, that He was the son of Joseph and Mary. But some say, basing it on a tradition in the Gospel according to Peter, as it is entitled, or "The Book of James," that the brethren of Jesus were sons of Joseph by a former wife, whom he married before Mary. Now those who say so wish to preserve the honour of Mary in virginity to the end, so that that body of hers which was appointed to minister to the Word which said, "The Holy Ghost shall come upon thee, and the power of the Most High shall overshadow thee," might not know intercourse with a man after that the Holy Ghost came into her and the power from on high overshadowed her. And I think it in harmony with reason that Jesus was the first-fruit among men of the purity which consists in chastity, and Mary among women; for it were not pious to ascribe to any other than to her the first-fruit of virginity. And James is he whom Paul says in the Epistle to the Galatians that he saw, "But other of the Apostles saw I none, save James the Lord's brother." And to so great a reputation among the people for righteousness did this James rise, that Flavius Josephus, who wrote the "Antiquities of the Jews" in twenty books, when wishing to exhibit the cause why the people suffered so great misfortunes that even the temple was razed to the ground, said, that these things happened to them in accordance with the wrath of God in consequence of the things which they had dared to do against James the brother of Jesus who is called Christ. And the wonderful thing is, that, though he did not accept Jesus as Christ, he yet gave testimony that the righteousness of James was so great; and he says that the people thought that they had suffered these things because of James. And Jude, who wrote a letter of few lines, it is true, but filled with the healthful words of heavenly grace, said in the preface, "Jude, the servant of Jesus Christ and the brother of James." With regard to Joseph and Simon we have nothing to tell; but the saying, "And His sisters are they not all with us." seems to me to signify something of this nature--they mind our things, not those of Jesus, and have no unusual portion of surpassing wisdom as Jesus has. And perhaps by these things is indicated a new doubt concerning Him, that Jesus was not a man but something diviner, inasmuch as
He was, as they supposed, the son of Joseph and Mary, and the brother of four, and of the others--the women--as well, and yet had nothing like to any one of His kindred, and had not from education and teaching come to such a height of wisdom and power. For they also say elsewhere, "How knoweth this man letters having never learned?" which is similar to what is here said. Only, though they say these things and are so perplexed and astonished, they did not believe, but were offended in Him; as if they had been mastered in the eyes of their mind by the powers which, in the time of the passion, He was about to lead in triumph on the cross.

Ma attenzione!
 Origene dice nel passo in inglese rimarcato in giallo: « in conseguenza delle cose che essi avevano osato fare contro Giacomo il fratello di Gesù chiamato il Cristo » Dunque, come abbiamo suggerito, fu questo... suggerimento (che è chiamato Cristo) ad essere inserito pari pari in qualità di testimonium flavianum 2 che in realtà fu il primo ad essere manipolato dai cristiani. Una delle argomentazioni dei sostenitori dell'autenticità dei due testimonia parte proprio da questo testimonium 2. Secondo costoro Giuseppe Flavio non avrebbe avuto alcun motivo per parlare di punto in bianco di Gesù il Cristo a commento di Giacomo se non ne avesse parlato già abbondantemente in un altro passo precedente. Ecco perché, colta l'argomentazione al balzo, i cristiani provvidero, in un'era in cui comandavano loro, a inserire anche il testimonium flavianum 1. La verità è che  Gesù non se l’è mai filato nessuno dei contemporanei, nemmeno Giuseppe Flavio che ne parla –  del falso profeta egizio,  perché ha messo in pericolo la stessa Gerusalemme e la sua casta sacerdotale ebrea –  senza conoscerne il nome e senza sapere che  diventerà il capostipite materiale, guerriero, dei cristiani. E’ passato come un’ombra nefasta in mezzo alla storia e di lui oggi nulla sappiamo (a meno che la mia ricerca  non trovi uno spunto per continuare).  Questo falso profeta egizio, il vero padre del cristianesimo, non piaceva ai violenti cristiani,  distruttori della civiltà per sostituirle il vuoto del caos, del nulla, perché era troppo... violento. Loro avevano bisogno di mascherarlo da Buon Pastore, con l'agnellino in mano, come il capo della Spectre, che pianifica stragi mentre... accarezza un gatto. Questo falso profeta egizio toglieva il sonno ai suoi seguaci. 

Era lì, scritto nero su bianco nella Guerra giudaica e nelle Antichità giudaiche che circolavano (la prima anche in aramaico, la lingua madre degli ebrei e perciò di   Giuseppe Flavio) in greco, la lingua della parte orientale dell’impero romano. Tutti  capivano, come l’ho capito io al primo colpo, che il falso profeta egizio era il capostipite dei cristiani. Ma come espungere il passo relativo da opere che circolavano da tempo e in cui sarebbe stata subito evidente dal confronto fra le copie originali e quelle manomesse l'assenza nelle prime? Bisognava cercare di deviare l’attenzione dal falso profeta egizio (ma notare che Paolo, che aveva proprio nei seguaci fondamentalisti del falso profeta egizio i suoi avversari con la puzza al naso e che alla fine lo tradiranno, è proprio lui negli Atti degli Apostoli a darci l’aggancio al falso profeta egizio sul quale altrimenti mai e poi mai avremmo concentrato la nostra attenzione!) e inserire totalmente   due  passi,  due testimonia flaviani, nello stesso Giuseppe Flavio laddove se ne presentasse l’opportunità. Questa opportunità si presentava non nella Guerra giudaica, che si occupava del tempo di Gesù reale, a ridosso e fino alla distruzione di Gerusalemme e alla caduta di Masada, bensì nelle Antichità giudaiche dove nella miriade di Gesù e di rivoltosi che si incontrano assai prima di Nerone era possibile trovarne uno che facesse al caso, manipolando il testo o inserendolo pari pari in un luogo adatto alle circostanze. 

A costituire la figura di Gesù  è servito, oltre al falso profeta egizio, e molto subordinatamente, anche un contemporaneo profeta di sciagure di nome… Gesù, figlio di Anania, un rozzo contadino  che, come scrive  Giuseppe Flavio nella Guerra giudaica, quattro anni prima che scoppiasse la guerra, durante la festa dei tabernacoli, « all’improvviso cominciò a gridare nel tempio: " Una voce da oriente, una voce da occidente, una voce dai quattro venti, una voce contro Gerusalemme e il tempio, una voce contro sposi e spose, una voce contro il popolo intero! " …  Allora i capi… lo trascinarono dinanzi al governatore romano. Quivi, sebbene fosse flagellato fino a mettere allo scoperto le ossa… a ogni battitura rispondeva: " Povera Gerusalemme! " … finché Albino [il governatore] sentenziò che si trattava di pazzia e lo lasciò andare… Per sette anni e cinque mesi lo andò ripetendo… e smise solo all’inizio dell’assedio, quando ormai vedeva avverarsi il suo triste presagio. Infatti un giorno che andava in giro sulle mura gridando a piena gola… una pietra scagliata da un lanciamissili lo colpì uccidendolo all’istante, ed egli spirò ripetendo ancora quelle parole. »  (VI, 5, 3)

Segue ora la mia ricerca successiva alla pubblicazione della Cronaca, ora diventata la quarta parte  della quadrilogia sul Nuovo Testamento, e devo preannunciare che a colpo di scena è seguito colpo di scena, in poche settimane, fino ai risultati che espongo qui.

Narrerò qui la storia del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. 
Il Padre: il movimento zelota fondato da  Ezechia e guidato da Giuda di Gamala detto il galileo, suo figlio.

Il Figlio: il messianismo  o millenarismo incarnato idealmente in Giovanni, primogenito di Giuda il galileo e aspirante al trono di Gerusalemme come Messia cioè Re dei Giudei, morto nel 30 d. C. senza mai raggiungere lo scopo. 

Lo Spirito Santo: un ignoto impostore che rievocava le gesta di Giosuè/Gesù, che forse era stato in Egitto, detto comnque l'egizio, che forse si chiamava o era soprannominato Beniamino, che forse scampò alla massima pena o più probabilmente fu crocifisso nel 60 d. C. Costui diede il via con la sua impresa fallimentare e fallita alla disperazione rivoluzionaria ebraica zelota fino alla definitiva catastrofe dell'annessione a Roma della Palestina sotto Tito e Domiziano. Fu veramente crocifisso? Certamente la Palestina lo fu sotto i Romani con la definitiva distruzione del Tempio che ancora non è stato e, credo, non sarà mai più ricostruito. Forse non sbaglio ad affermare che è colpa dei cristiani se oggi stiamo ancora qui a parlare di ebrei e di ebraismo, perché i Romani ne avevano fatto terra bruciata. In ogni caso i cristiani non avrebbero potuto e non hanno di fatto resuscitato il popolo e la religione israelita che sono  morti, con tutte le loro attese escatologiche a Masada, duemila anni fa. 
Lo Spirito Santo è il Paracleto, e negli scritti evangelici, gli Atti degli apostoli,  viene dopo la morte di Gesù sulla croce, cioè dopo la morte del Figlio, cioè dopo la morte del nostro Giovanni primogenito di Giuda il galileo. 

Lo Spirito Santo, ovvero il Paracleto, ovvero Dioniso il Liberatore, ovvero l'elemento Violento e Caotico della Trinità, interviene come deus ex machina a risollevare le speranze della dinastia di Gamala dopo la morte di Giovanni e si chiama Falso profeta egizio, il quale sotto Nerone tenta l'audace impresa di prendere Gerusalemme occupata dai Romani. Fallisce e scappa e di lui si perdono le tracce e diventa impalpabile come lo Spirito Santo, che infatti facciamo difficoltà a comprendere mentre più agevole è comprendere un Padre e un Figlio.  E' il falso profeta egizio ad affidare gli zeloti  superstiti alla guida di Eleazaro di Masada. I Romani conquistano totalmente la Giudea e agli ebrei non resta che sperare nell'arrivo del Messia, mentre quelli che fra poco saranno chiamati  cristiani attendono il ritorno del Paracleto, il falso profeta egizio. Speranza vana, come quella di chi attende ancora il ritorno  di Artù o di Barbarossa. Secondo  me Gesù è stato inchiodato alla croce dai Romani, che facevano le cose per bene, nel 60 d. C. e dunque nessuno Spirito Santo, nessun Messia cristiano ritornerà mai dagli inferi dove è andato duemila anni fa. Amen. 
La mia ricerca è partita dunque seguendo le tracce del falso profeta egizio, e cercando su internet ho trovato un primo aggancio sul sito di Davide Donnini   che mi ha fortemente convinto della bontà della pista che seguivo, identificando Eleazar con... Lazzaro. Sì, avete capito bene, il Lazzaro fratello della donna di malaffare  Maria Maddalena  resuscitato a Betania. 



E' evidente che se Lazzaro/Eleazar ben Jair, figlio di Giairo, combatteva a Masada nel 70-73 d. C. non poteva essere tanto più giovane di Gesù crocifisso.
Eleazar figlio di Giairo è nominato a partire dallo stesso libro II  della Guerra giudaica in cui si parla del falso profeta egizio (II, 13, 5; io ho sotto gli occhi l’edizione curata da Giovanni Vitucci, Oscar Mondadori) anzi è nominato dopo il falso profeta egizio (II, 17, 9) ma sempre sotto Nerone e in un periodo di sedizioni giudaiche contro i romani. La Guerra giudaica dice che « A capo dei sicari che l’avevano occupata [Masada] c’era Eleazar [di Giairo], un uomo potente, discendente di quel Giuda che, come sopra abbiamo detto, aveva persuaso non pochi giudei a sottrarsi al censimento fatto a suo tempo da Quirinio nella Giudea. » (VII, 8, 1) A proposito di Giuda, di Gamala o galileo, dice: « Sotto di lui [Augusto] un galileo di nome Giuda spinse gli abitanti alla ribellione, colmandoli di ingiurie se avessero continuato a pagare il tributo ai romani e ad avere, oltre dio, padroni mortali. Questi era un dottore che fondò una sua setta particolare, e non aveva nulla in comune con gli altri. »   (II, 8, 1) Gli altri vengono subito dopo e sono i Farisei, i Sadducei e gli Esseni. Giuda il galileo va identificato con Giuda figlio del capobrigante zelota Ezechia   (II, 4, 1). A proposito di questa setta che non aveva nulla in comune con gli altri suggerisco che si trattasse di Samaritani che venivano confusi coi Giudei (Antichità giudaiche XX, 6, titolato: Come sorse  una lite fra Giudei e Samaritani, e come Claudio mise fine alle loro dispute) e dunque i Giudei/seguaci di Cresto cacciati da Roma da Claudio di cui parleremo fra non molto possono benissimo essere stati questi Samaritani.

Lascio la parola a Donnini:
Eleazar ben Jair
Durante la orribile guerra che insanguinò la Palestina, negli anni dal 66 al 70, indicibili catastrofi si abbatterono sugli ebrei. Gamla, nel Golan, che aveva dati i natali ai principali esponenti della lotta zelotica, fu assediata e distrutta e tutti i suoi abitanti morirono trucidati o suicidi essi stessi, gettandosi spontaneamente nel precipizio che affiancava la città. Nel 70 la stessa Gerusalemme, dopo un lunghissimo e tremendo assedio, cadde sotto il ferro e il fuoco delle legioni di Tito e il tempio fu profanato e saccheggiato. Un paio di anni prima, lo stesso monastero di Qumran, l'eremo nella simbolica "terra di Damasco" degli esseni, presso le rive nord occidentali del Mar Morto, fu distrutto dalle legioni di Vespasiano, durante la marcia da Gerico a Gerusalemme. Qualche tempo prima i confratelli, intuendo l'imminenza di questo pericolo, avevano nascosto le loro scritture nelle grotte sulle scarpate sovrastanti, nella speranza che, in un futuro mai giunto, essi potessero riappropriarsene. I più irriducibili membri della confraternita evitarono di disperdersi e, sfruttando una lacuna nell'organizzazione tattica dei romani, all'indomani della caduta di Gerusalemme, si impadronirono della fortezza di Masada, sempre sulla riva occidentale del Mar Morto, a sud di Qumran [vedi nel viaggio fotografico le numerose fotografie di Masada]. Furono un migliaio coloro che la abitarono per ben tre anni e la difesero a oltranza, sotto uno stretto assedio romano, prima di essere a loro volta sconfitti. Anche questa volta si ebbe un tipico esempio di martirio zelotico: tutti si dettero la morte, nell'imminenza dell'arrivo dei legionari, e costoro non trovarono che cadaveri ad attenderli.

Gli uomini di Masada erano guidati da un certo Eleazar ben Jair (Lazzaro, figlio di Giairo), un'autorità spirituale, nonché politica e militare, di cui Giuseppe Flavio ci dà alcune brevi notizie: era discendente di Giuda il galileo (il capo zelota che veniva da Gamala), parente di Menahem, il figlio di Giuda il galileo che era riuscito (unico nella dinastia degli aspiranti Messia di Israele) ad indossare la veste regale in Gerusalemme, nei giorni funesti dell'assedio romano, per un brevissimo periodo prima di essere ucciso. Se l'aspirante re dei Giudei che era stato crocifisso a Gerusalemme da Ponzio Pilato, nell'anno 30 o poco dopo, veniva da Gamala ed era il figlio primogenito dello stesso Giuda (come abbiamo visto nel capitolo "il problema del titolo Nazareno"), e aveva anticipato senza successo l'impresa che invece era riuscita, sebbene in modo effimero, al fratello minore Menahem, ne possiamo subito concludere che Eleazar ben Jair era anche parente del Cristo dei Vangeli.

Giuseppe Flavio ci ha trasmesso il discorso che questo Lazzaro avrebbe pronunciato a Masada, ai suoi seguaci, per convincerli che l'unica cosa da fare, di fronte alla prospettiva della sconfitta, era quella di togliersi la vita. Non credo che sia facile convincere un migliaio di persone a suicidarsi tutte insieme. Ma se la circostanza è quella che i romani stanno per arrampicarsi sulla montagna da cui non è possibile fuggire, se il capo ha un grande ascendente spirituale, com'è caratteristico di un autorevole maestro, e se i seguaci sono dei fanatici fedeli degli ideali religiosi esseno-zeloti, allora una cosa del genere può diventare possibile.
Il discorso ha l'aria di un sermone iniziatico degno di una disciplina orientale, né mancano espliciti riferimenti alla religiosità dell'oriente, con l'elogio degli indiani che accolgono la morte come una liberazione per l'anima: "...la morte, infatti, donando la libertà alle anime, fa sì che esse possano raggiungere quel luogo di purezza che è la loro sede propria, dove andranno esenti da ogni calamità, mente finché sono prigioniere di un corpo mortale, schiacciate sotto il peso dei suoi malanni, allora sì che esse son morte, se vogliamo dire il vero; infatti il divino mal s'adatta a coesistere col mortale... comunque, se volessimo ricevere una conferma attingendola dagli stranieri, guardiamo agli indiani, che seguono i dettami della filosofia... essi salgono su un rogo, perché l'anima si separi dal corpo nel massimo stato di purezza, e muoiono circondati da un coro di elogi..." (Giuseppe Flavio, Guerra Giudaica, VII, 8). Evidentemente non è così inverosimile pensare, come alcuni studiosi sostengono, che le idee della confraternita essena fossero influenzate da elementi di spiritualità indo-buddista, oltreché iranico-caldea.

Lazzaro dei Vangeli e Lazzaro di Masada
Quando abbiamo detto che la resurrezione di Lazzaro e quella della figlia di Giairo sono le due versioni parallele, una giovannea e l'altra sinottica, dell'iniziazione superiore ricevuta dal discepolo amato da Gesù, abbiamo detto che gli autori sinottici hanno operato alcuni cambiamenti, nei parametri statici dell'episodio, per mascherare le identità dei personaggi. Lazzaro ha cambiato età e sesso, è diventato una ragazza. Il cambiamento è abbastanza radicale da rendere assai difficile, se non impossibile, il riconoscimento della persona. Forse non è cambiato il nome del padre, ed è rimasto quello originale: Giairo. Se così è dobbiamo pensare che Lazzaro fosse figlio di un certo Giairo. Ovverosia che egli fosse... Eleazar ben Jair.

Ora, questa ipotesi non può certo essere dimostrata nel senso proprio del termine, ma a suo sostegno si possono elencare diverse somiglianze fra il Lazzaro del Vangelo e quello che fu la guida di Masada.
A - entrambi erano coinvolti nel movimento messianico. Infatti il Lazzaro dei Vangeli sarebbe stato fortemente censurato dagli autori sinottici, proprio perché l'impegno principale di costoro era quello di tenere Gesù e il suo intorno ben lontano da ogni coinvolgimento nella lotta messianica. Il Lazzaro di Masada... beh, la sua storia parla chiaro.
B - entrambi erano parenti di Gesù. Come abbiamo visto sopra.
C - entrambi erano figli di un certo Giairo.
D - entrambi erano depositari di una speciale iniziazione essena riguardante il senso della morte.  
Torneremo al sito di D. Donnini (da cui ho tratto la cartina sotto) in appendice a questo  lavoro  per tre argomenti interessanti che riguardano quanto ho scritto nei precedenti lavori sul Nuovo Testamento.  
Gamala o Gamla a oriente del lago di Tiberiade, patria di di Gesù e degli zeloti, e  Masada, ultima roccaorte della resistenza dei medesimi a occidente del Mar Morto.

venerdì 30 agosto 2013

Maria di Magdala sposò o no Gesù, cioè il capo-banda Giovanni di Giuda il Galileo?

Maria di Magdala sposò o no Gesù, cioè il capo-banda Giovanni di Giuda il Galileo?



Favole, leggende manipolate e storia: come orizzontarsi? Per rispondere alla domanda su Maria di Magdala e Gesù che si pone ogni lettore del Codice da Vinci di Dan Brown, bisogna considerare altre due persone, Lazzaro e Menahem, coinvolte in questo matrimonio sia dai Testi Sacri che dai libri storici. Nei Vangeli si legge che Gesù era il maestro di una squadra formata da dodici discepoli, che Maria di Magdala era colei che a Betania gli aveva lavato i piedi e che Lazzaro era fratello di Maria di Magdala, nonché figlio di Giairo (v. miracolo della resurrezione: Mt. 9,18; Mc. 5,11; Lc. 8,4; Gv. 11).

Dai testi storici risulta che Gesù è stato costruito sulla figura di Giovanni di Gamala, figlio primogenito di Giuda il Galileo e capo di una banda di rivoluzionari ("Bohanerges"). Dalla Guerra Giudaica di Giuseppe Flavio veniamo inoltre a sapere che Lazzaro, figlio di Giairo, era legato da vincoli di parentela con Menahem, figlio di Giuda il Galileo. Sarà da questa parentela di cui ci parla Giuseppe Flavio, che potremo, oltreché confermare l’esistenza del matrimonio, trarre anche un’ulteriore prova della non esistenza storica di Gesù. Infatti questa parentela risulterebbe incomprensibile se lo sposo fosse veramente figlio di Giuseppe, e non di Giuda il Galileo, come risulta dalle innumerevoli affermazioni che ci vengono dai testi storici.

Menahem e Lazzaro, quali fratelli dei due coniugi, l’uno dell’uomo e l’altro della donna, ci confermano con la loro parentela di cognati che il matrimonio esisteva e che lo sposo era il primogenito di Giuda il Galileo. Che Gesù, alias Giovanni di Gamala, fosse marito di Maria di Magdala ci viene ancora confermato da altri documenti che si riferiscono a quella banda dei Bohanerges, poi trasformata nei Vangeli in una squadra di discepoli predicatori di pace.

Dal "Vangelo di Filippo" ritrovato in Egitto nel 1945 durante ricerche archeologiche: "Maria, che era la consorte del Signore, andava sempre con lui. Il Signore amava Maria di Magdala più degli altri discepoli e spesso la baciava davanti a tutti sulla bocca". Nel papiro 8502 di Berlino, detto "Vangelo di Maria", si parla della gelosia e del risentimento che gli altri discepoli, e soprattutto Simone, provavano per la predilezione che il Signore riservava a Maria: "Ha forse il Signore parlato in segreto alla sua donna prima che a noi senza farlo apertamente? - è Simone, altro figlio di Giuda il Galileo, che parla - Ci dobbiamo umiliare tutti e sottoporci a lei? Forse egli l’ha anteposta a noi?"Dal vangelo copto viene riportata un’altra contestazione di Pietro contro Maria di Magdala: "Simone, detto Pietro, disse agli altri accoliti: "Maria deve andare via da noi perché le femmine non sono degne della vita". E il Signore, avendolo sentito, si rivolse a loro dicendo: "Ecco, io la guiderò da farne un maschio, affinché diventi una combattente come noi".

Soltanto il disprezzo che dimostra Simone verso le donne dicendo che non sono degne di vita, sarebbe già di per sé sufficiente per dimostrare che abbiamo davanti una banda di rivoltosi giudaici seguaci delle leggi Mosaiche nella forma più estremista.   A questo punto, penso che non sia troppo avventato supporre che tra i presenti a quella cena di Pasqua che precedette la rivolta, ci fosse anche lei, Maria di Magdala, quale moglie di Giovanni di Gamala e membro attivo combattente della banda dei Bohanerghes. Così scrivevo nel libro "Favola di Cristo", uscito nel 2002, quando ancora nessuno aveva scoperto che nell’Ultima cena di Leonardo da Vinci si nascondesse il volto di una donna in quello del discepolo Giovanni. Discepolo che, in realtà, non c’era, non poteva esserci, perché il vero apostolo amato da Gesù era Lazzaro.

sabato 24 agosto 2013

Gesù? Mai esistito. La sua vita copiata dal rivoltoso Giovanni di Gamala.

Il cristologo Cascioli: Gesù? Mai esistito. La sua vita copiata dal rivoltoso Giovanni di Gamala.

salon-voltaire
Luigi Cascioli


"La Storia ha insegnato quanto ci abbia giovato quella favola su Cristo" (Historia docuit quantum nos iuvasse illa de Christo fabula), avrebbe scritto papa Leone X in una lettera a Luigi, fratello del Cardinale Bembo. Una frase drammaticamente cinica, ma fondata, a quanto pare. Che cosa c’è dietro quest’incredibile ammissione, forse data per scontata da secoli tra gli altissimi “addetti ai lavori” della Chiesa, dell’assoluta mancanza di prove storiche della reale esistenza in vita di Gesù?
Ebbene, un cristologo davvero fuori del comune si è messo in testa di capire e di analizzare le Sacre Scritture solo in base alla logica, alla ragione, all'intelligenza. Ha studiato per decenni sulla scorta di tutti i documenti possibili e di una stringente razionalità quanto fosse vera quella cinica frase papale. Ed ha scoperto un vaso di Pandora: manomissioni di testi, sostituzioni di personaggi storici, pure e semplici invenzioni, e ogni altro genere di imbrogli che stanno dietro alla “creazione” del personaggio storico Gesù o Joshua, ebreo di Nazareth.
Quest’uomo è Luigi Cascioli, nato a Bagnoregio (Viterbo) nel 1934, bella figura di uomo onesto, idealista, laico, libero pensatore e anticlericale, scomparso ieri a Roccalvecce all’età di 76 anni. Il suo libro “La favola di Cristo”, bel dono che ci lascia in eredità, è l’unico che dimostra effettivamente, con centinaia di documenti, compresi i manoscritti di Kimberth Qumran (1947) e le cronache di storici come Giuseppe Flavio, Filone Alessandrino, Plinio il Vecchio e altri, che tale personaggio semplicemente non è mai esistito. Fu inventato a posteriori dai Padri di una Chiesa ormai dominante che non aveva più motivo per essere insieme rivoluzionaria e spiritualista, ma aveva bisogno di un mito più “terreno”, di un personaggio in carne ed ossa da dare in pasto ai fedeli, e anche d’un eroe “buonista” e non-violento.
Secondo la ricostruzione di Cascioli, si dovette, perciò, creare dal nulla un “Dio in Terra”, confezionando su misura una nascita plausibile – anche se miracolistica, avventurosa e troppo simile a quelle di tanti altri Dei-quasi-uomini dell'epoca – efficace pendant al “Dio nel cielo” che ormai aveva avuto successo. Pare infatti che prima di questa “creazione” biografica, Gesù fosse stato proposto come “disceso dal cielo all’età di 30 anni”. I sapienti cristiani provvidero, perciò a creare dal nulla, ma anche ad adattare, interpolare e falsificare documenti preesistenti.
Nell’affascinante e stringente ricostruzione di Luigi Cascioli si scopre così che la figura del Gesù "inventato" a posteriori, molti decenni dopo la data stabilita per la sua nascita (poi, guarda caso, fatta coincidere per assicurarsi il successo popolare con le festività dei Saturnalia e del Sole Invitto alla fine di dicembre, come il dio Mitra e tanti altri) coincide in modo impressionante con quella di un certo Giovanni di Gamala (villaggio della regione del Golan), figlio di Giuda il Galileo e nipote del rabbino Ezechia, a sua volta discendente della stirpe degli Asmonei fondata da Simone, figlio di Mattia il Maccabeo.
Quello che scandalizza fin dall’inizio è che si tratta non di un nazareno, cioè d’un abitante di Nazareth, come vorrebbe la Chiesa, ma di un “nazareo”, nel significato proprio del termine: un rivoluzionario, uno zelota. Dunque, un violento. I discepoli cercarono in seguito di far derivare l’appellativo da Nazareth – è l'accusa – per confondere le acque. Ma dai Vangeli si vede che Nazareth è in cima a un monte e vicina al Lago di Tiberiade, mentre la vera Nazareth è in collina e dista quaranta chilometri dal lago. Possibile che tanti Padri della Chiesa, tanti intellettuali cristiani, non se ne siano accorti? La città di Gamala, invece, corrisponde perfettamente alla descrizione evangelica, stranamente sfuggita alla censura lessicale e alla omologazione dei Vangeli ufficiali.
Dunque questo Giovanni di Gamala, alias Gesù – secondo la stringente ricostruzione di Cascioli – era un fanatico rivoluzionario capo-banda degli Zeloti, vicini agli Esseni (quelli dei rotoli di Qumram), setta di banditi rivoluzionari ebrei armati (oggi li definiremmo terroristi) che si opponevano all’occupazione dei Romani con ogni mezzo, uccidevano senza pietà anche donne e bambini. I cosiddetti discepoli erano in realtà i capi banda di tale movimento politico-militare. Lo scopo era evidentemente quello di cacciare i Romani e di instaurare un Regno di Israele con a capo un re del partito zelota, cioè il Giovanni di Gamala-Gesù. Non per caso ironicamente definito dai soldati romani nella famosa targhetta sulla croce (INRI) “Rex Judeorum”. In realtà, più correttamente, era un pretendente, un candidato al Regno.
Nonostante le censure di un passato così imbarazzante, altre tracce eloquenti sono restate per errore nei Vangeli. Come l’episodio dei “discepoli” armati di spade all’Orto dei Getsemani, così non-violenti che uno di loro taglia di netto un orecchio ad un soldato. Naturalmente, erano duramente osteggiati anche dagli Ebrei. Praticavano il battesimo (Giovanni Battista), la comunione dei beni e vivevano secondo riti monastici sotto la guida dei Nazir o Nazirei o Nazareni. Siamo nel periodo delle Guerre Giudaiche.
D’altra parte, tutto torna storicamente: il padre di Giovanni da Gamala-Gesù era Giuda il Galileo, personaggio realmente esistito citato dallo storico ebreo Giuseppe Flavio (che invece non cita Gesù), fondatore del movimento ribellistico zelota, ucciso durante una rivolta antiromana. E Giovanni-Gesù aveva, guarda caso, tre fratelli chiamati Giacomo, Simone e Kefas (ossia Pietro), come i principali apostoli. Giovanni di Gamala costituì con essi una banda armata in rivolta contro l'occupazione romana. Gli apostoli sarebbero stati in realtà dei guerriglieri, accoliti del movimento zelota e chiamati banda dei Boanerghes. Come se non bastasse, Giuda Iscariota deriverebbe il suo appellativo da sicario, mentre Simone zelota denuncerebbe l'appartenenza alla setta zelota. I soldati Romani davano loro la caccia, ma quelli affrontavano con gioia il patibolo o la croce nella certezza di avere come ricompensa dopo la morte una vita eterna di beatitudine, un po' come oggi i terroristi dell’Islam. Finché quel Giovanni-Gesù fu catturato nell'orto del Getsemani e crocifisso.
Lo storico ebreo Giuseppe Flavio ci ha dato nella “Guerra giudaica” una preziosa informazione sull’esistenza di un rivoluzionario carismatico la cui figura si attaglia perfettamente a quella di Gesù. E due vicende simili in così poco spazio di tempo sarebbero impossibili. Dunque, per Giuseppe Flavio si trattava d’un « falso profeta egiziano. Arrivò infatti nel paese un ciarlatano che, guadagnatasi la fama di profeta, raccolse una turba di circa trentamila individui che s’erano lasciati abbindolare da lui, li guidò dal deserto al monte detto degli ulivi e di lì si preparava a piombare in forze su Gerusalemme, a battere la guarnigione romana e a farsi signore del popolo con l’aiuto dei suoi seguaci in armi. Felice prevenne il suo attacco affrontandolo con i soldati romani, e tutto il popolo collaborò alla difesa sì che, avvenuto lo scontro, l’egizio riuscì a scampare con alcuni pochi, la maggior parte dei suoi seguaci furono catturati o uccisi mentre tutti gli altri si dispersero rintanandosi ognuno nel suo paese. » (II, 13, 5)
Molte rivolte e azioni violente i primi Cristiani le organizzarono anche a Roma, dove a detta degli storici romani erano considerati come terroristi e banditi rivoluzionari. Però, come capita a tutti i rivoluzionari, decenni dopo, una volta al potere, furono gli stessi capi della Chiesa che cancellarono ogni riferimento alle imbarazzanti origini rivoluzionarie e violente del loro movimento.
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"Dopo le prove fornite dalla “Favola di Cristo” sulla non esistenza di Gesù, come si può ancora credere che i racconti riportati sui Vangeli, pieni di contraddizioni e grossolanità, siano la biografia di un personaggio storico? Seguendo una fede cieca molti cristiani preferiscono mettere l'accento sul “simbolismo” contenuto nei testi. [E forse lo stesso papa Leone X sopra citato era tra questi. NdR]. Quindi, in teoria è possibilissimo – deduciamo noi – che siano esistiti addirittura papi e cardinali che sapevano della non esistenza storica di Gesù, ma hanno taciuto o per paura dello scandalo indicile (e del rischio di essere deposti come pazzi), o rifugiandosi del carattere analogico, simbolico delle Sacre Scritture. Come per le “verità scientifiche” dell’Antico Testamento (la Bibbia). Ma se tutto è simbolico – conclude Johannès Robyn, presidente dell'Unione degli Atei di Francia – che cosa resta del personaggio?" Di un personaggio-Dio, aggiungiamo, dal cui nome deriva la parola e la fortuna del Cristianesimo.
Complemento efficace al lavoro di Cascioli è la minuziosa e filologica ricostruzione
 storica di Marco Guido Corsini, secondo il quale sarebbe fondata l'origine egiziana del capopopolo sedicente Messia. Il suo sito offre per certi punti una ricostruzione di Gesù come rivoluzionario ebreo “egiziano”. Gli indizi e le concordanze coi documenti storici sono affascinanti, così come inquietanti i tentativi della prima Chiesa di cancellarli, a partire dai Vangeli.
La Chiesa cattolica, in risposta, appare molto meno scandalizzata di quanto noi laici potremmo immaginare. Un tempo avrebbe mandato a morte l’incredulo. Oggi semplicemente obietta che neanche su Giovanni di Gamala, ci sono sicure fonti storiche, e che quindi contrapposta alla "favola di Cristo" c'è solo la "favola di Cascioli".
In quanto al libro “La favola di Cristo”, si può aggiungere che è molto avvincente, strutturato come un "giallo" storico "scientifico", e si rivela una miniera di impressionanti notizie concatenate tra loro. Un vero puzzle nel quale i vari tasselli vanno a incastrarsi in modo apparentemente perfetto. Se ne consiglia la lettura. Può essere acquistato presso la famiglia dell’autore, insieme agli altri suoi libri.
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Il giorno dopo la scomparsa di Luigi Cascioli, riteniamo che questo ricordo possa essere l’omaggio più giusto a lui dovuto. Fu un grande uomo. Grazie alla sua tenacia, al rigore razionale, e all’erudizione di questo studioso coraggioso, profondo conoscitore dei testi dei Vangeli e della Bibbia, che proprio lui ha dimostrato essere stata scritta in tempi molto più recenti di quanto racconta la leggenda. A lui va il nostro ricordo e la nostra ammirazione.
Sui rapporti tra Maria di Magdala e Giovanni, il capo-banda zelota (oggi diremmo fondamentalista e rivoluzionario ebreo, seguace della più stretta legge mosaica) su cui la Chiesa modellò secoli dopo la vita del personaggio inventato Joshua, alias Gesù, SalonVoltaire ha ospitato un interessante articolo di Luigi Cascioli.
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.IN MEMORIA DI LUIGI CASCIOLI
di Peter Boom
Luigi Cascioli, nato il 16 febbraio 1934 a Bagnoregio (VT) è deceduto ieri nella sua casa di Roccalvecce (VT), e con lui abbiamo perso un appassionato ed erudito storico, specializzato soprattutto nel primo periodo cristiano.
Aveva scritto e pubblicato tre libri "La favola di Cristo" (inconfutabile dimostrazione della non esistenza di Gesù), "La morte di Cristo" e "La statua nel viale", dei quali sono stati stampati versioni in diverse lingue.
Attraverso approfonditi studi aveva dimostrato che Cristo non era mai esistito ed aveva a proposito denunciato la Chiesa Cattolica, nella persona di Don Enrico Righi, parroco-rettore della ex.Diocesi di Bagnoregio per abuso della credulità popolare (Art. 661 C.P.) e per sostituzione di persona (Art. 494 C.P.).
Ateo convinto, Luigi Cascioli (http://www.luigicascioli.eu) aveva voluto attaccare il cristianesimo con questa denuncia contro la Chiesa Cattolica, sostenitrice di un'impostura costruita su falsi documenti, quali la Bibbia ed i Vangeli, che aveva imposto con la violenza dell'inquisizione e con il plagio ottenuto con l'esorcismo, il satanismo ed altre superstizioni. Ultimamente Luigi Cascioli stava preparando un nuovo libro riguardante Fatima, da lui denominato altro grande imbroglio superstizioso-finanziario.
Luigi Cascioli, un uomo coraggioso, fino all'ultimo sulla breccia per divulgare le Sue idee, le Sue tesi storiche, delle quali si parlerà ancora a lungo.
Il Libero Pensiero vola ben oltre la morte terrena e questa consapevolezza ci dà la forza di esporre sempre con grande apertura mentale e la massima onestà le nostre idee. Non abbiamo dogmi e sappiamo tutti di poter sbagliare, ma siamo ben convinti che non si possa imbrigliare il nostro pensiero. Di questo fu grande testimone il filosofo Giordano Bruno, immolato dopo atroci torture sul rogo dall'Inquisizione cattolica. Oggi il rogo o la pena di morte, almeno nei paesi di civiltà occidentale non esiste quasi più, ma altri metodi perniciosi per bloccare il Libero Pensiero persistono, bloccando l'informazione su certe idee, frutto di lunghi studi, come quella di Luigi Cascioli sulla non esistenza di Gesù. 

lunedì 19 agosto 2013

La lezione arriva dell'Ecuador un fiume può fermare gli speculatori

...non possiamo che condividere il punto di vista di un paese come l'Ecuador che da costituzionalmente diritto di inviolabilità a "Gaia" la terra su cui viviamo e siamo ospiti


Sa Defenza



La lezione arriva dell'Ecuador
un fiume può fermare gli speculatori

Mari Margil, avvocato e attivista ambientalista statunitense, spiega come ha aiutato lo stato latinoamericano a introdurre nella Costituzione i "diritti della Madre Terra"

Il Vilcabamba, in Ecuador, è stato il primo fiume a vincere
da parte civile una causa in tribunale 


di VALERIO GUALERZIrepubblica.it/


- A quasi settant'anni dalla dichiarazione universale dei diritti dell'uomo è giunto il momento di pensare di estendere le tutele anche a tutto ciò che rende possibile la vita degli uomini: la natura. Un primo importante passo lungo questa strada è stato compiuto dall'Ecuador che nel 2008, con un referendum, ha votato l'inserimento nella Costituzione di cinque articoli per i diritti della Madre Terra. 

Questo caso pilota, di cui in Italia si è parlato ancora molto poco, sarà al  centro di un convegno, "I diritti della Natura" organizzato venerdì 30 marzo ad Alzano Lombardo da Inntea e ideato dallo scrittore Davide Sapienza insieme a Mari Margil e Francesca Mancini. Sapienza è il fondatore del gruppo Diritti della Natura Italia e in maggio verrà lanciata l'edizione italiana del libro di Cormac Cullinan, "I Diritti della Natura: WIld Law" (Piano B Ed).  

Al convegno parteciperà anche Mari Margil, avvocato statunintense che ha assistito la battaglia giuridica degli ambientalisti ecuadoregni. Alla vigilia del suo arrivo in Italia, la signora Margil ha accettato di rispondere ad alcune di Repubblica.

Cosa vuol dire
 inserire in Costituzione i diritti della natura?

"Significa che la legge riconosce, ritenendoli vincolanti e da far rispettare, i diritti degli ecosistemi e delle comunità naturali. Questi diritti comprendono il diritto ad esistere, a rigenerarsi e ad evolvere. Così, se un attività (mineraria, estrattiva o simile) dovesse interferire con la capacità di un ecosistema (un fiume, un foresta o altro ancora) a continuare ad esistere e a rimanere in salute, allora quell'attività violerebbe le leggi e non potrebbe essere consentita".

E il suo coinvolgimento come nasce?  
"La fondazione Pachamama di Quito è venuta a conoscenza del lavoro che stavamo facendo negli Stati Uniti e ci ha chiesto di andare in Ecuador per incontrare i membri dell'Assemblea costituente. Abbiamo incontrato anche il presidente dell'Assemblea Alberto Acosta, che nel frattempo era diventato un forte sostenitore dei diritti della natura. Così ci è stato chiesto di stilare una bozza che l'Assemblea ha poi fatto propria, ampliandola. Il nuovo testo è stato infine ratificato da un referendum nazionale nel 2008".  

A fronte delle crescenti pressioni economiche sull'ambiente, non c'è il rischio che rimangano dichiarazioni di intenti inapplicabili?
"Nel 2011 in Ecuador ci sono state le prime cause intentate in base alla nuova norma costituzionale. In uno di questi casi, il fiume Vilcabamba si è potuto costituire parte civile per difendere la sua possibilità di prosperare dalla minaccia della cementificazione. Alla fine il fiume ha vinto la causa. Una vittoria storica, la prima riportata direttamente da un fiume in un'aula di tribunale".  

Non è però certo il primo caso di speculazione bloccato con motivazioni ambientali.
"E' un caso diverso. Le leggi di salvaguardia ambientale esistenti nel resto del mondo continuano a trattare la natura come una proprietà, priva di diritti propri. Così, se l'attività umana minaccia la capacità di un ecosistema di esistere e rimanere in salute, non c'è un diritto specifico da poter difendere. Queste leggi ambientali tradizionali, basate sul concetto di proprietà, legalizzano, tollerandola, una certa quantità di minaccia all'ambiente. Detto altrimenti accettano, regolamentandola, la possibilità che un ecosistema possa essere usato o sfruttato. Ora le cose cambiano, e la natura cessa di essere considerata una proprietà, diventando un portatore di diritti autonomi.  Grazie a leggi scritte per dare la possibilità alla gente e alle comunità di far rispettare questi diritti per conto degli ecosistemi".

Si fa fatica a far rispettare diritti riconosciuti e formalmente accettati da molto più tempo, siete sicuri che i tempi siano maturi per quelli degli ecosistemi?
"C'è un movimento in corso comunità per comunità, paese per paese. Naturalmente i tempi saranno lunghi, proprio come è accaduto per il riconoscimento dei diritti delle donne, dei bambini, dei lavoratori. Sono necessari cambiamenti radicali non solo nelle leggi, ma anche nella cultura. In giro per il mondo c'è però una crescente consapevolezza, sia tra la gente che tra i governanti, del fallimento delle leggi tradizionali a tutela dell'ambiente. Una consapevolezza della necessità di cambiare il nostro rapporto con la natura che cresce di pari passo con il degrado del Pianeta".

martedì 30 luglio 2013

Si può prevedere il futuro?

Si può prevedere il futuro? 

Pubblicato da 
 studieriflessioni

Questo è il titolo di uno studio pubblicato su "Le Scienze" di giugno 2013. Già in copertina troviamo i seguenti titoli: "Dossier- La scienza delle previsioni- Dall'economia ai terremoti, dagli uragani alle epidemie, prospettive e limiti delle nostre capacità di prevedere scenari futuri". [Errata corrige: il dossier è intitolato "La scienza delle previsioni", mentre è il primo studio del dossier a essere intitolato "Si può prevedere il futuro?". Nella fretta e nella selva dei titoli e sottotitoli l'autore di questo blog si è un pò perso. Ed è un vero peccato perché così si è perso anche quello che poteva essere un efficace controtitolo ad effetto per questo post e cioè L'impossibile scienza delle previsioni].

A dire il vero, la difficoltà reale consiste nella previsione deterministica di eventi singoli in momenti precisi e determinabili, non tanto la previsione statistica di eventi complessivi in momenti imprecisabili. Chi segue questo blog sa che l'autore attribuisce i singoli eventi alla sfera del caso e gli eventi complessivi (collettivi) alla sfera della necessità: i primi soggetti allaincerta probabilità, i secondi soggetti alla certa frequenza statistica.

Ora, ciò che possiamo trovare in questo dossier di "Le Scienze" è una prima ammissione della differenza tra le previsioni impossibili dei fenomeni singoli e le previsioni possibili dei fenomeni collettivi. Da questa ammissione, naturalmente, non si può certo inferire che gli autori del dossier abbiano concepito o siano sul punto di concepire la dialettica caso-necessità. Ma, come vedremo, i cosiddetti pratici, ossia gli scienziati che si occupano di quei campi ai quali sono richieste risposte scientifiche pratiche, risolutive dei problemi umani, hanno maggiori possibilità di comprendere le leggi della dialettica caso-necessità, rispetto ai teorici puri della matematica o della fisica teorica.


Per mostrare in che modo questo possa avvenire, ma anche quali ostacoli teorici del passato e del presente continuino a rendere difficile la totaleconsapevolezza della dialettica caso-necessità, posteremo alcuni contributi critici su questo dossier, cominciando dalla previsione delle malattie. Sub "Prevedere le malattie" di Paolo Vineis, possiamo subito osservare che il sottotitolo imposta la questione in modo abbastanza corretto:"Prevedere in modo affidabile l'insorgere di alcune malattie è possibile ma a livello di popolazione, a livello individuale questo non è sempre possibile".

L'osservazione di cui sopra è una tipica induzione empirica che, per chi scrive, rappresenta una conferma del caso relativo ai singoli individui e della conseguente necessità complessiva. Anche all'inizio dell'articolo Vineis ribadisce: "Il problema di fondo dell'epidemiologia, cioè dello studio sistematico delle distribuzioni della malattie e delle loro cause, è che le previsioni sono valide (quando lo sono) soprattutto a livello collettivo, ma difficilmente a livello individuale. Le malattie non rispondono a leggi semplici e deterministiche, ma hanno un ruolo decisivo la suscettibilità individuale e altri fattori aleatori. A livello delle popolazioni, però, la previsione è ragionevolmente affidabile, almeno per fenomeni stabili come le malattie "non comunicabili", tra cui il cancro, su cui si basano molti degli esempi che seguono".

Occorre chiarire subito che la malattia, in se stessa, riguarda strettamente l'individuo e ovviamente la sua "suscettibilità" alla medesima, ma la scienza non è in grado di definire in altro modo la malattia individuale che appellandosi a "fattori aleatori", ovvero imprevedibili. La conclusione da trarre è, quindi, che l'imprevedibilità deriva dal caso. E qui troviamo una prima reticenza sul riconoscimento del ruolo del caso individuale e sul suo rapporto con la necessità collettiva. E' l'ossimoro "fattori aleatori" che conferma la reticenza degli scienziati posti di fronte a evidenze empiriche aleatorie, ossia casuali. Infatti, se fosse un fattore dovrebbe essere sotto la giurisdizione del rapporto deterministico di causa-effetto, se invece è qualcosa di aleatorio, allora appartiene alla sfera del casoconnessa alla necessità solo come opposto dialettico.

Chiunque abbia acquistato "Le scienze" di questo giugno può partire dal contributo di Paolo Vineis, per comprendere le ragioni oggettive della imprevedibilità di eventi singoli, individuali: imprevedibilità che non dipende dalla inettitudine degli scienziati empirici, ma dalle oggettive manifestazioni naturali. In questo modo potrà anche seguire la critica dell'autore di questo blog, mediante la quale sarà resa ancora più chiara la sua "dialettica caso-necessità" che sta alla base dei processi naturali. 

Riprendiamo il discorso partendo dall'articolo introduttivo scritto da Fabio Cecconi, Massimo Cencini e Francesco Sylos Labini. Il punto di partenza del dossier, sulla previsione del futuro, è rappresentato dalle seguenti domande: "In che modo sono declinati i metodi e i concetti usati per capire come si svilupperà un certo fenomeno in diversi contesti scientifici, quali meteorologia, fisica, geologia ed epidemologia? In che modo le conoscenze scientifiche si traducono in previsioni utili alle politiche di intervento? Quali sono i limiti di queste previsioni?" E' proprio per rispondere a queste domande che è stato organizzato un convegno, dal quale sono stati tratti i vari contributi per il dossier pubblicato su "Le Scienze".

Fin dall'inizio ciò che non appare chiara è la consapevolezza che le previsioni per essere "utili alle politiche di intervento" devono riguardare singoli eventi, che sono, invece, sotto la giurisdizione del caso. Al posto di questa premessa certa, che non viene mai affermata una volta per tutte, compare ogni tanto la considerazione dell'aleatorietà o stocasticità che rende imprevedibile il futuro, ma compare soprattutto il continuo appello alla incertezza, alla caoticità, ecc. della previsione.


E quando, finalmente, si affronta la questione vera, quella del determinismo che si scontra con la probabilità, ci si appella a situazioni di impossibilità che sarebbero specifiche dei fenomeni considerati. Ad esempio, riguardo ai terremoti, essi dipenderebbero "da condizioni di stress che si verificano fino a chilometri sotto la crosta terrestre, inaccessibili a misurazioni sistemiche". Ma, sui terremoti la conoscenza e anche il monitoraggio sono vasti. Ciò che, invece, risulta impossibile è rendere ragione di quella manciata di secondi o minuti di stress che mettono sottosopra una regione abitata, prendendola di sorpresa creando morti, feriti e panico.

Ed è per queste situazioni che, invece di chiarire il rapporto esistente tra il  singolo casuale e il complesso necessario, si continua a pretendere di rispondere a domande come la seguente: "Una domanda più complessa riguarda la capacità di prevedere fenomeni regolati non da leggi deterministiche, ma piuttosto da leggi probabilistiche. In questo caso un ruolo importante è svolto dalle tecniche di previsioni statistica, correntemente usate per prevedere, per esempio, il diffondersi di malattie epidemiche, la formazione di opinioni nella società o il suo sviluppo economico".

Ma la statistica, ribadiamo, è una forma di conoscenza applicata ai complessi, alle collettività; tutto l'opposto, ad esempio, della previsione della singola scossa tellurica, che non è soggetta alla statistica complessiva ma alla probabilità singola. E quanto si sia ancora lontani dall'avere compreso la differenza tra probabilitàfrequenza statistica e determinazione di causa-effetto lo conferma la seguente osservazione degli autori di questa introduzione (che ribadisce anche il solito errore): "L'analisi di serie storiche e l'inferenza statistica basata sul calcolo delle probabilità sono i due strumenti principali di questo tipo di tecniche predittive, che però da sole non bastano. Gli studi statistici sono molto efficaci nello stabilire correlazioni tra eventi ma, nella maggior parte dei casi non permettono la determinazione di relazioni causali, conoscenza indispensabile per la politica di intervento".

Relazioni causali?! C'è da mettersi le mani nei capelli! In questo genere di spiegazioni non si rende ragione della reale difficoltà della previsione. Innanzi tutto, perché non si chiarisce subito che la previsione riguarda eventi singoli che appartengono alla sfera del caso e dunque al calcolo delle probabilità, il quale stabilisce soltanto possibilità e nessuna certezza? E ancora, perché ci si dimentica di assicurare che il calcolo statistico parte sì dalle probabilità ma giunge sempre a dati di frequenze che riguardano complessi, collettività di eventi? Infine, perché si compie l'errore madornale di cercare relazione tra inesistenti cause e il quadro statistico rilevato? Dove c'è una statistica non ci può essere una causa: tra il rapporto probabilità-statistica e il rapporto causa-effetto c'è una differenza abissale!

La conseguenza paradossale è che gli autori, dopo aver confermato come proprio un simile errore di teoria della conoscenza, giungano alla seguente falsa conclusione: "Dalla nostra discussione emerge che anche un insieme ben consolidato di conoscenze scientifiche inevitabilmente non si traduce in previsioni prive di incertezza, nella migliore delle ipotesi per i limiti di natura intrinseca ai fenomeni di interesse. Questi limiti non sono sempre compresi o correttamente trasmessi a chi deve tramutare le previsioni in decisioni o protocolli di sicurezza per le popolazioni".

C'è forse bisogno di insistere su questo paradosso che conferma la più colossale delle incomprensioni? La più precisa e perfetta delle conoscenze dei processi naturali è la conoscenza della necessità dei complessi di eventi, mentre i singoli eventi sono inconoscibili e imprevedibili perché soggetti al caso. Se questa verità certa viene taciuta ai pratici, che dovrebbero stabilire protocolli di sicurezza applicabili a collettività di cittadini (per non creare panico e non disturbare inutilmente le loro abitudini), come si può pretendere che non sorgano incomprensioni?

Il fatto è che si preferisce la solita bagarre, il solito rinfaccio reciproco piuttosto che affermare una verità che toglie fondamento a un principio tanto caro non solo alla scienza più tradizionale ma anche ai poteri d'ogni tempo, etici, religiosi e politici: il determinismo. Quel determinismo che se l'attività pratica dell'uomo, la produzione tecnologica, conferma pienamente, quando viene applicato ai processi naturali delude ogni aspettativa umana!*

* A questo proposito, vedere i post sulla critica alla riproposizione del determinismo da parte di Paola Dessì.